giovedì 13 settembre 2012

De infinito universo et mondi

Giordano Bruno

De l'infinito, universo et mondi

 PROEMIALE EPISTOLA, SCRITTA ALL'ILLUSTRISSIMO SIGNOR MICHEL DI CASTELNOVO.
Signor di Mauvissiero, Concressalto e di Ionvilla, Cavallier de l'ordine del Re Cristianissimo, Conseglier del suo privato Conseglio, Capitano di 50 uomini d'arme ed Ambasciator alla Serenissima Regina d'Inghilterra.


 Se io, illustrissimo Cavalliero, contrattasse l'aratro, pascesse un gregge, coltivasse un orto, rassettasse un vestimento, nessuno mi guardarebbe, pochi m'osservarebono, da rari sarei ripreso e facilmente potrei piacere a tutti. Ma per essere delineatore del campo de la natura, sollecito circa la pastura de l'alma, vago de la coltura de l'ingegno e dedalo circa gli abiti de l'intelletto, ecco che chi adocchiato me minaccia, chi osservato m'assale, chi giunto mi morde, chi compreso mi vora; non Ë uno, non son pochi, son molti, son quasi tutti. Se volete intendere onde sia questo, vi dico che la caggione Ë l'universitade che mi dispiace, il volgo ch'odio, la moltitudine che non mi contenta, una che m'innamora: quella per cui son libero in suggezione, contento in pena, ricco ne la necessitade e vivo ne la morte; quella per cui non invidio a quei che son servi nella libert‡, han pena nei piaceri, son poveri ne le ricchezze e morti ne la vita, perchÈ nel corpo han la catena che le stringe, nel spirto l'inferno che le deprime, ne l'alma l'errore che le ammala, ne la mente il letargo che le uccide; non essendo magnanimit‡ che le delibere, non longanimit‡ che le inalze, non splendor che le illustre, non scienza che le avvive. Indi accade che non ritrao, come lasso, il piede da l'arduo camino; nÈ, come desidioso, dismetto le braccia da l'opra che si presenta; nÈ, qual disperato, volgo le spalli al nemico che mi contrasta; nÈ, come abbagliato, diverto gli occhi dal divino oggetto; mentre, per il pi˘, mi sento riputato sofista, pi˘ studioso d'apparir sottile che di esser verace; ambizioso, che pi˘ studia di suscitar nova e falsa setta che di confirmar l'antica e vera; ucellatore, che va procacciando splendor di gloria con porre avanti le tenebre d'errori; spirto inquieto, che subverte gli edificii de buone discipline e si fa fondator di machine di perversitade. CossÏ, Signor, gli santi numi disperdano da me que' tutti che ingiustamente m'odiano, cossÏ mi sia propicio sempre il mio Dio, cossÏ favorevoli mi sieno tutti governatori del nostro mondo, cossÏ gli astri mi faccian tale il seme al campo ed il campo al seme ch'appaia al mondo utile e glorioso frutto del mio lavoro con risvegliar il spirto ed aprir il sentimento a quei che son privi di lume: come io certissimamente non fingo e, se erro, non credo veramente errare e, parlando e scrivendo, non disputo per amor de la vittoria per se stessa (perchÈ ogni riputazione e vittoria stimo nemica a Dio, vilissima e senza punto di onore, dove non Ë la verit‡), ma per amor della vera sapienza e studio della vera contemplazione m'affatico, mi crucio, mi tormento. Questo manifestaranno gli argumenti demostrativi, che pendeno da vivaci raggioni, che derivano da regolato senso, che viene informato da non false specie che, come veraci ambasciatrici, si spiccano da gli suggetti de la natura, facendosi presenti a quei che le cercano, aperte a quei che le rimirano, chiare a chi le apprende, certe a chi le comprende. Or ecco, vi porgo la mia contemplazione circa l'infinito, universo e mondi innumerabili.
 Argomento del primo dialogo. Avete dunque nel primo dialogo prima, che l'inconstanza del senso mostra che quello non Ë principio di certezza e non fa quella se non per certa comparazione e conferenza d'un sensibile a l'altro ed un senso a l'altro; e s'inferisce come la verit‡ sia in diversi soggetti.
 Secondo, si comincia a dimostrar l'infinitudine de l'universo, e si porta il primo argumento tolto da quel, che non si sa finire il mondo da quei che con l'opra de la fantasia vogliono fabricargli le muraglia. Terzo, da che Ë inconveniente dire che il mondo sia finito e che sia in se stesso, perchÈ questo conviene al solo immenso, si prende il secondo argumento. Appresso si prende il terzo argumento dall'inconveniente ed impossibile imaginazione del mondo come sia in nessun loco, perchÈ ad ogni modo seguitarrebe che non abbia essere, atteso che ogni cosa, o corporale o incorporal che sia, o corporale- o incorporalmente, Ë il loco. Il quarto argumento si toglie da una demostrazione o questione molto urgente che fanno gli epicurei:
Nimirum si iam finitum constituatur
omne quod est spacium, si quis procurrat ad oras
Ultimus extremas iaciatque volatile telum,
Invalidis utrum contortum viribus ire
Quo fuerit missum mavis longeque volare,
An prohibere aliquid censes obstareque posse?
Nam sive est aliquid quod prohibeat officiatque,
Quominu' quo missum est veniat finique locet se,
Sive foras fertur, non est ea fini profecto.
 Quinto, da che la definizion del loco che poneva Aristotele non conviene al primo, massimo e comunissimo loco, e che non val prendere la superficie prossima ed immediata al contenuto, ed altre levitadi che fanno il loco cosa matematica e non fisica; lascio che tra la superficie del continente e contenuto che si muove entro quella, sempre Ë necessario spacio tramezante a cui conviene pi˘ tosto esser loco; e se vogliamo del spacio prendere la sola superficie, bisogna che si vada cercando in infinito un loco finito. Sesto, da che non si puÚ fuggir il vacuo ponendo il mondo finito, se vacuo Ë quello nel quale Ë niente.
Settimo, da che, sicome questo spacio nel quale Ë questo mondo, se questo mondo non vi si trovasse, se intenderebbe vacuo; cossÏ dove non Ë questo mondo, se v'intende vacuo. Citra il mondo, dunque, Ë indifferente questo spacio da quello: dunque, l'attitudine ch'ha questo, ha quello; dunque, ha l'atto, perchÈ nessuna attitudine Ë eterna senz'atto; e perÚ eviternamente ha l'atto gionto; anzi essalei Ë atto, perchÈ nell'eterno non Ë differente l'essere e posser essere.
 Ottavo, da quel che nessun senso nega l'infinito, atteso che non lo possiamo negare per questo, che non lo comprendiamo col senso; ma da quel, che il senso viene compreso da quello e la raggione viene a confirmarlo lo doviamo ponere. Anzi se oltre ben consideriamo, il senso lo pone infinito; perchÈ sempre veggiamo cosa compresa da cosa, e mai sentiamo, nÈ con esterno nÈ con interno senso, cosa non compresa da altra o simile.
Ante oculos etenim rem res finire videtur:
Aer dissepit colleis atque aera montes,
Terra mare et contra mare terras terminat omneis:
Omne quidem vero nihil est quod finiat extra.
Usque adeo passim patet ingens copia rebus,
Finibus exemptis, in cunctas undique parteis.
 Per quel dunque, che veggiamo, pi˘ tosto doviamo argumentar infinito, perchÈ non ne occorre cosa che non sia terminata ad altro e nessuna esperimentiamo che sia terminata da se stessa. Nono, da che non si puÚ negare il spacio infinito se non con la voce, come fanno gli pertinaci, avendo considerato che il resto del spacio, dove non Ë mondo e che si chiama vacuo o si finge etiam niente, non si puÚ intendere senza attitudine a contenere non minor di questa che contiene. Decimo, da quel che, sicome Ë bene che sia questo mondo, non Ë men bene che sia ciascuno de infiniti altri. Undecimo, da che la bont‡ di questo mondo non Ë comunicabile ad altro mondo che esser possa, come il mio essere non Ë comunicabile al di questo e quello. Duodecimo, da che non Ë raggione nÈ senso che, come si pone un infinito individuo, semplicissimo e complicante, non permetta che sia un infinito corporeo ed esplicato. Terzodecimo, da che questo spacio del mondo che a noi par tanto grande, non Ë parte e non Ë tutto a riguardo dell'infinito, e non puÚ esser suggetto de infinita operazione, ed a quella Ë un non ente quello che dalla nostra imbecillit‡ si puÚ comprendere, e si risponde a certa instanza, che noi non ponemo l'infinito per la dignit‡ del spacio, ma per la dignit‡ de le nature; perchÈ per la raggione, da la quale Ë questo, deve essere ogni altro che puÚ essere, la cui potenza non Ë attuata per l'essere di questo, come la potenza de l'essere di Elpino non Ë attuata per l'atto dell'essere di Fracastorio. Quartodecimo da che, se la potenza infinita attiva attua l'esser corporale e dimensionale, questo deve necessariamente essere infinito; altrimente si deroga alla natura e dignitade di chi puÚ fare e di chi puÚ essere fatto. Quintodecimo, da quel, che questo universo conceputo volgarmente non si puÚ dir che comprende la perfezion di tutte cose altrimente che come io comprendo la perfezione di tutti gli miei membri e ciascun globo tutto quello che Ë in esso: come Ë dire, ognuno Ë ricco a cui non manca nulla di quel ch'ha. Sestodecimo, da quel, che in ogni modo l'efficiente infinito sarrebe deficiente senza l'effetto e non possiamo capir che tale effetto solo sia lui medesimo. Al che si aggiunge che per questo, se fusse o se Ë, niente si toglie di quel che deve essere in quello che Ë veramente effetto, dove gli teologi nominano azione ad extra e transeunte, oltre la immanente; perchÈ cossÏ conviene che sia infinita l'una come l'altra.
 Decimo settimo, da quel, che, dicendo il mondo interminato, nel modo nostro sÈguita quiete nell'intelletto, e dal contrario sempre innumerabilmente difficultadi ed inconvenienti. Oltre, si replica quel ch'Ë detto nel secondo e terzo. Decimo ottavo, da quel che, se il mondo Ë sferico, Ë figurato, Ë terminato, e quel termine che Ë oltre questo terminato e figurato (ancor che ti piaccia chiamarlo niente), Ë anco figurato di sorte che il suo concavo Ë gionto al di costui convesso; perchÈ onde comincia quel tuo niente Ë una concavit‡ indifferente almeno dalla convessitudinale superficie di questo mondo. Decimo nono, s'aggiunge a quel che Ë stato detto nel secondo. Ventesimo, si replica quello che Ë stato detto nel decimo.
 Nella seconda parte di questo dialogo, quello ch'Ë dimostrato per la potenza passiva de l'universo, si mostra per l'attiva potenza de l'efficiente, con pi˘ raggioni: de le quali la prima si toglie da quel, che la divina efficacia non deve essere ociosa; e tanto pi˘ ponendo effetto extra la propria sustanza (se pur cosa gli puÚ esser extra), e che non meno Ë ociosa ed invidiosa producendo effetto finito che producendo nulla. La seconda da la prattica, perchÈ per il contrario si toglie la raggione della bontade e grandezza divina, e da questo non sÈguita inconveniente alcuno contra qualsivoglia legge e sustanza di teologia. La terza Ë conversiva con la duodecima de la prima parte; e si apporta la differenza tra il tutto infinito e totalmente infinito. La quarta, da che non meno per non volere che per non possere la omnipotenza vien biasimata d'aver fatto il mondo finito e di essere agente infinito circa suggetto finito. La quinta induce che, se non fa il mondo infinito, non lo puÚ fare; e se non ha potenza di farlo infinito, non puÚ aver vigore di conservarlo in infinito; e che, se lui secondo una raggione Ë finito, viene ad essere finito secondo tutte le raggioni, perchÈ in lui ogni modo Ë cosa, e ogni cosa e modo Ë uno e medesimo con l'altra e l'altro. La sesta Ë conversiva de la decima de la prima parte. E s'apporta la causa per la quale gli teologi defendeno il contrario non senza espediente raggione, e de l'amicizia tra questi dotti e gli dotti filosofi.
 La settima, dal proponere la raggione che distingue la potenza attiva da l'azioni diverse, e sciorre tale argumento. Oltre, si mostra la potenza infinita intensiva-ed estensivamente pi˘ altamente che la comunit‡ di teologi abbia giamai fatto. La ottava, da onde si mostra che il moto di mondi infiniti non Ë da motore estrinseco ma da la propria anima, e come con tutto ciÚ sia un motore infinito. La nona, da che si mostra come il moto infinito intensivamente si verifica in ciascun de' mondi. Al che si deve aggiongere che da quel, che un mobile insieme insieme si muove ed Ë mosso, sÈguita che si possa vedere in ogni punto del circolo che fa col proprio centro; ed altre volte.sciorremo questa obiezione, quando sar‡ lecito d'apportar la dottrina pi˘ diffusa.
 Argomento del secondo dialogo. SÈguita la medesima conclusione il secondo dialogo. Ove, primo, apporta quattro raggioni, de quali la prima si prende da quel, che tutti gli attributi de la divinit‡ sono come ciascuno. La seconda, da che la nostra imaginazione non deve posser stendersi pi˘ che la divina azione. La terza, da l'indifferenza de l'intelletto ed azion divina, e da che non meno intende infinito che finito. La quarta, da che, se la qualit‡ corporale ha potenza infinita attiva, la qualit‡, dico, sensibile a noi, or che sar‡ di tutta che Ë in tutta la potenza attiva e passiva absoluta? Secondo, mostra da che cosa corporea non puÚ esser finita da cosa incorporea, ma o da vacuo o da pieno; ed in ogni modo estra il mondo Ë spacio, il quale al fine non Ë altro che materia e l'istessa potenza passiva, dove la non invida ed ociosa potenza attiva deve farsi in atto. E si mostra la vanit‡ dell'argomento d'Aristotele dalla incompossibilit‡ delle dimensioni. Terzo, se insegna la differenza che Ë tra il mondo e l'universo, perchÈ chi dice l'universo infinito uno, necessariamente distingue tra questi dui nomi. Quarto, si apportano le raggioni contrarie, per le quali si stima l'universo finito: dove Elpino referisce le sentenze tutte di Aristotele, e Filoteo le va essaminando. Quelle sono tolte altre dalla natura di corpi semplici, altre da la natura di corpi composti; e si mostra la vanit‡ di sei argumenti presi dalla definizione de gli moti che non possono essere in infinito, e da altre simili proposizioni, le quali son senza proposito e supposito, come si vede per le nostre raggioni. Le quali pi˘ naturalmente faran vedere la raggione de le differenze e termino di moto, e, per quanto comporta l'occasione e loco, mostrano la pi˘ reale cognizione dell'appulso grave e lieve; perchÈ per esse mostramo come il corpo infinito non Ë grave nÈ lieve, e come il corpo finito riceve differenze tali, e come non. Ed indi si fa aperta la vanit‡ de gli argomenti di Aristotele, il quale, argumentando contra quei che poneno il mondo infinito, suppone il mezzo e la circonferenza, e vuole che nel finito o infinito la terra ottegna il centro. In conclusione, non Ë proposito grande o picciolo che abbia amenato questo filosofo per destruggere l'infinit‡ del mondo, tanto dal primo libro Del cielo e mondo quanto dal terzo De la fisica ascoltazione, circa il quale non si discorra assai pi˘ che a bastanza.
 Argomento del terzo dialogo. Nel terzo dialogo primieramente si niega quella vil fantasia della figura, de le sfere e diversit‡ di cieli; e s'affirma uno essere il cielo, che Ë uno spacio generale ch'abbraccia gl'infiniti mondi; benchÈ non neghiamo pi˘, anzi infiniti cieli, prendendo questa voce secondo altra significazione; per ciÚ che come questa terra ha il suo cielo, che Ë la sua regione nella quale si muove e per la quale discorre, cossÏ ciascuna di tutte l'altre innumerabili. Si manifesta onde sia accaduta la imaginazione di tali e tanti mobili deferenti e talmente figurati che abbiano due superficie esterne ed una cava interna; ed altre ricette e medicine che d‡nno nausea ed orrore agli medesimi che le ordinano e le esequiscono, e a que' miseri che se le inghiottiscono.
 Secondo, si avertisce che il moto generale e quello de gli detti eccentrici e quanti possono riferirse al detto firmamento, tutti sono fantastici: che realmente pendeno da un moto che fa la terra con il suo centro per l'ecliptica e quattro altre differenze di moto che fa circa il centro de la propria mole. Onde resta, che il moto proprio di ciascuna stella si prende da la differenza che si puÚ verificare suggettivamente in essa come mobile da per sÈ per il campo spacioso. La qual considerazione ne fa intendere, che tutte le raggioni del mobile e moto infinito son vane e fondate su l'ignoranza del moto di questo nostro globo. Terzo, si propone come non Ë stella che non si muova come questa ed altre che, per essere a noi vicine, ne fanno conoscere sensibilmente le differenze locali di moti loro; ma che altrimente se muoveno gli soli che son corpi dove predomina il foco, altrimente le terre ne le quali l'acqua Ë predominante; e quindi si manifesta onde proceda il lume che diffondeno le stelle, de quali altre luceno da per sÈ altre per altro.
 Quarto, in qual maniera corpi distantissimi dal sole possano equalmente come gli pi˘ vicini partecipar il caldo; e si riprova la sentenza attribuita ad Epicuro, come che vuole un sole esser bastante all'infinito universo; e s'apporta la vera differenza tra quei astri che scintillano e quei che non. Quinto s'essamina la sentenza del Cusano circa la materia ed abitabilit‡ di mondi e circa la raggion del lume. Sesto, come di corpi, benchÈ altri sieno per sÈ lucidi e caldi, non per questo il sole luce al sole e la terra luce alla medesima terra ed acqua alla medesima acqua; ma sempre il lume procede dall'apposito astro, come sensibilmente veggiamo tutto il mar lucente da luoghi eminenti, come da monti; ed essendo noi nel mare, e quando siamo ne l'istesso campo, non veggiamo risplendere se non quanto a certa poca dimensione il lume del sole e della luna ne si oppone. Settimo, si discorre circa la vanit‡ delle quinte essenze: e si dechiara che tutti corpi sensibili non sono altri e non costano d'altri prossimi e primi principii che questi, che non sono altrimente mobili tanto per retto quanto per circulare. Dove tutto si tratta con raggioni pi˘ accomodate al senso commune, mentre Fracastorio s'accomoda all'ingegno di Burchio; e si manifesta apertamente che non Ë accidente che si trova qua che non si presuppona l‡, come non Ë cosa che si vede di l‡ da qua, la quale, se ben consideriamo, non si veda di qua da l‡; e conseguentemente, che quel bell'ordine e scala di natura Ë un gentil sogno ed una baia da vecchie ribambite. Ottavo, che, quantunque sia vera la distinzione de gli elementi, non Ë in nessun modo sensibile o intelligibile tal ordine di elementi quale volgarmente si pone; e secondo il medesimo Aristotele, gli quattro elementi sono equalmente parti o membri di questo globo, se non vogliamo dire che l'acqua eccede; onde degnamente gli astri son chiamati or acqua or fuoco tanto da veri naturali filosofi quanto da profeti divini e poeti; li quali, quanto a questo, non favoleggiano nÈ metaforicheggiano, ma lasciano favoleggiare ed impuerire quest'altri sofossi. CossÏ li mondi se intendeno essere questi corpi eterogenei, questi animali, questi grandi globi, dove non Ë la terra grave pi˘ che gli altri elementi, e le particelle tutte si muoveno e cangiano di loco e disposizione non altrimente che il sangue ed altri umori e spiriti e parte minime, che fluiscono, refluiscono, influiscono ed effluiscono in noi ed altri piccioli animali. A questo proposito s'amena la comparazione, per la quale si trova che la terra, per l'appulso al centro de la sua mole, non si trova pi˘ grave che altro corpo semplice che a tal composizion concorre; e che la terra da per sÈ non Ë grave nÈ ascende nÈ discende; e che l'acqua Ë quella che fa l'unione, densit‡, spessitudine e gravit‡.
 Nono, da che Ë visto il famoso ordine de gli elementi vano, s'inferisce la raggione di questi corpi sensibili composti che, come tanti animali e mondi, sono nel spacioso campo che Ë l'aria o cielo o vacuo. Ove son tutti que' mondi che non meno contegnono animali ed abitatori che questo contener possa, atteso che non hanno minor virt˘ nÈ altra natura. Decimo, dopo che Ë veduto come sogliano disputar gli pertinacemente additti ed ignoranti di prava disposizione, si fa oltre manifesto in che modo per il pi˘ delle volte sogliono conchiudere le disputazioni; benchÈ altri sieno tanto circonspetti che, senza guastarsi punto, con un ghigno, con un risetto, con certa modesta malignit‡, quel che non vagliono aver provato con raggioni nÈ lor medesimi possono donarsi ad intendere, con queste artecciuole di cortesi dispreggi, la ignoranza in ogni altro modo aperta vogliono non solo cuoprire, ma rigettarla al dorso dell'antigonista; perchÈ non vegnono a disputar per trovare o cercar la verit‡, ma per la vittoria e parer pi˘ dotti e strenui defensori del contrario. E simili denno essere fuggiti da chi non ha buona corazza di pazienza.
 Argumento del quarto dialogo. Nel seguente dialogo prima si replica quel ch'altre volte Ë detto, come sono infiniti gli mondi, come ciascun di quelli si muova e come sia formato. Secondo, nel modo con cui, nel secondo dialogo, si sciolsero le raggioni contra l'infinita mole o grandezza de l'universo, dopo che nel primo con molte raggioni fu determinato l'inmenso effetto dell'inmenso vigore e potenza; al presente, dopo che nel terzo dialogo Ë determinata l'infinita moltitudine de mondi, si scioglieno le molte raggioni d'Aristotele contro quella, benchÈ altro significato abbia questa voce mondo appresso Aristotele, altro appresso Democrito, Epicuro ed altri.
 Quello dal moto naturale e violento, e raggioni de l'uno e l'altro che son formate da lui, vuole che l'una terra si derrebe muovere a l'altra; e con risolvere queste persuasioni prima, si poneno fondamenti di non poca importanza per veder gli veri principii della natural filosofia. Secondo, si dechiara che, quantunque la superficie d'una terra fusse contigua a l'altra, non averrebe che le parti de l'una si potessero muovere a l'altra, intendendo de le parti eterogenee o dissimilari, non de gli atomi e corpi semplici; onde si prende lezione di meglio considerare circa la natura del grave e lieve. Terzo, per qual caggione questi gran corpi sieno stati disposti da la natura a tanta distanza, e non sieno pi˘ vicini gli uni e gli altri, di sorte che da l'uno si potesse far progresso a l'altro; e quindi, da chi profondamente vede, si prende raggione per cui non debbano esser mondi come nella circonferenza dell'etere, o vicini al vacuo tale in cui non sia potenza, virt˘ ed operazione; perchÈ da un lato non potrebono prender vita e lume. Quarto, come la distanza locale muta la natura del corpo, e come non; ed onde sia che, posta una pietra equidistante da due terre, o si starebbe ferma, o determinarebbe di moversi pi˘ tosto a l'una che a l'altra. Quinto, quanto s'inganni Aristotele per quel che in corpi, quantunque distanti, intende appulso di gravit‡ o levit‡ de l'uno all'altro; ed onde proceda l'appetito di conservarsi nell'esser presente, quantunque ignobile, ne le cose: il quale appetito Ë causa della fuga e persecuzione. Sesto, che il moto retto non conviene nÈ puÚ esser naturale a la terra o altri corpi principali, ma a le parti di questi corpi che a essi da ogni differenza di loco, se non son molto discoste, si muoveno. Settimo, da le comete si prende argomento che non Ë vero che il grave, quantunque lontano, abbia appulso o moto al suo continente. La qual raggione corre non per gli veri fisici principii, ma dalle supposizioni della filosofia d'Aristotele, che le forma e compone da le parti che sono vapori ed exalazioni de la terra. Ottavo, a proposito d'un altro argomento, si mostra come gli corpi semplici, che sono di medesima specie in altri mondi innumerabili, medesimamente si muovano; e qualmente la diversit‡ numerale pone diversit‡ de luoghi, e ciascuna parte abbia il suo mezzo e si referisca al mezzo commune del tutto; il quale mezzo non deve essere cercato nell'universo. Nono, si determina che gli corpi e parti di quelli non hanno determinato su e gi˘, se non in quanto che il luogo della conversazione Ë qua o l‡. Decimo, come il moto sia infinito, e qual mobile tenda in infinito ed a composizioni innumerabili, e che non perciÚ sÈguita gravit‡ o levit‡ con velocit‡ infinita; e che il moto de le parti prossime, in quanto che serbino il loro essere, non puÚ essere infinito; e che l'appulso de parti al suo continente non puÚ essere se non infra la regione di quello.
 Argomento del quinto dialogo. Nel principio del quinto dialogo si presenta un dotato di pi˘ felice ingegno; il qual, quantunque nodrito in contraria dottrina, per aver potenza di giudicar sopra quello ch'ave udito e visto, puÚ far differenza tra una ed un'altra disciplina, e facilmente si rimette e corregge. Si dice chi sieno quei a' quali Aristotele pare un miracolo di natura, atteso che coloro che malamente l'intendeno e hanno l'ingegno basso, magnificamente senteno di lui. PerchÈ doviamo compatire a simili, e fuggir la lor disputazione, per ciÚ che con essi non vi Ë altro che da perdere.
Qua Albertino, nuovo interlocutore, apporta dodici argumenti, ne li quali consiste tutta la persuasione contraria alla pluralit‡ e moltitudine di mondi. Il primo si prende da quel, che estra il mondo non s'intende loco nÈ tempo nÈ vacuo nÈ corpo semplice, nÈ composto. Il secondo, da l'unit‡ del motore. Il terzo, da luoghi de corpi mobili. Il quarto, dalla distanza de gli orizonti dal mezzo. Il quinto, dalla contiguit‡ de pi˘ mondi orbiculari. Il sesto, da spacii triangulari che causano con il suo contatto. Il settimo, dall'infinito in atto, che non Ë, e da un determinato numero, che non Ë pi˘ raggionevole che l'altro. Da la qual raggione noi possiamo non solo equalmente, ma e di gran vantaggio inferire, che per ciÚ il numero non deve essere determinato, ma infinito. L'ottavo, dalla determinazione di cose naturali e dalla potenza passiva de le cose, la quale alla divina efficacia ed attiva potenza non risponde. Ma qua Ë da considerare che Ë cosa inconvenientissima, che il primo ed altissimo sia simile ad uno ch'ha virt˘ di citarizare e, per difetto ci citara, non citareggia; e sia uno che puÚ fare, ma non fa, perchÈ quella cosa che puÚ fare, non puÚ esser fatta da lui. Il che pone una pi˘ che aperta contradizione, la quale non puÚ essere non conosciuta, eccetto che da quei che conoscono niente. Il nono dalla bont‡ civile che consiste nella conversazione. Il decimo, da quel, che per la contiguit‡ d'un mondo con l'altro sÈguita, che il moto de l'uno impedisca il moto de l'altro. L'undecimo, da quel, che, se questo mondo Ë compÏto e perfetto, non Ë dovero che altro o altri se gli aggiunga o aggiungano.
 Questi son que' dubii e motivi, nella soluzion delli quali consiste tanta dottrina, quanta sola basta a scuoprir gl'intimi e radicali errori de la filosofia volgare ed il pondo e momento de la nostra. Ecco qua la raggione, per cui non doviam temere che cosa alcuna diffluisca, che particolar veruno o si disperda o veramente inanisca o si diffonda in vacuo che lo dismembre in adni[c]hilazione. Ecco la raggion della mutazion vicissitudinale del tutto, per cui cosa non Ë di male da cui non s'esca, cosa non Ë di buono a cui non s'incorra, mentre per l'infinito campo, per la perpetua mutazione, tutta la sustanza persevera medesima ed una. Dalla qual contemplazione, se vi sarremo attenti, avverr‡ che nullo strano accidente ne dismetta per doglia o timore, e nessuna fortuna per piacere o speranza ne estoglia: onde aremo la via vera alla vera moralit‡, saremo magnanimi, spreggiatori di quel che fanciulleschi pensieri stimano; e verremo certamente pi˘ grandi che que' dei che il cieco volgo adora, perchÈ dovenerremo veri contemplatori dell'istoria de la natura, la quale Ë scritta in noi medesimi, e regolati executori delle divine leggi, che nel centro del nostro core son inscolpite. Conosceremo che non Ë altro volare da qua al cielo che dal cielo qua, non altro ascendere da qua l‡ che da l‡ qua, nÈ Ë altro descendere da l'uno a l'altro termine. Noi non siamo pi˘ circonferenziali a essi che essi a noi; loro non sono pi˘ centro a noi che noi a loro; non altrimente calcamo la stella e siamo compresi noi dal cielo, che essi loro.
 Eccone, dunque, fuor d'invidia; eccone liberi da vana ansia e stolta cura di bramar lontano quel tanto bene che possedemo vicino e gionto. Eccone pi˘ liberi dal maggior timore che loro caschino sopra di noi, che messi in speranza che noi caschiamo sopra di loro; perchÈ cossÏ infinito aria sustiene questo globo come quelli, cossÏ questo animale libero per il suo spacio discorre ed ottiene la sua reggione come ciascuno di quegli altri per il suo. Il che considerato e compreso che arremo, oh a quanto pi˘ considerare e comprendere ne diportaremo! Onde per mezzo di questa scienza otteneremo certo quel bene, che per l'altre vanamente si cerca.
 Questa Ë quella filosofia che apre gli sensi, contenta il spirto, magnifica l'intelletto e riduce l'uomo alla vera beatitudine che puÚ aver come uomo, e consistente in questa e tale composizione; perchÈ lo libera dalla sollecita cura di piaceri e cieco sentimento di dolori, lo fa godere dell'esser presente, e non pi˘ temere che sperare del futuro; perchÈ la providenza o fato o sorte, che dispone della vicissitudine del nostro essere particolare, non vuole nÈ permette che pi˘ sappiamo dell'uno che ignoriamo dell'altro, alla prima vista e primo rancontro rendendoci dubii e perplessi. Ma mentre consideramo pi˘ profondamente l'essere e sustanza di quello in cui siamo inmutabili, trovaremo non esser morte, non solo per noi, ma nÈ per veruna sustanza; mentre nulla sustanzialmente si sminuisce, ma tutto, per infinito spacio discorrendo, cangia il volto. E perchÈ tutti soggiacemo ad ottimo efficiente, non doviamo credere, stimare e sperare altro, eccetto che come tutto Ë da buono; cossÏ tutto Ë buono, per buono ed a buono; da bene, per bene, a bene. Del che il contrario non appare se non a chi non apprende altro che l'esser presente, come la beltade dell'edificio non Ë manifesta a chi scorge una minima parte di quello, come un sasso, un cemento affisso, un mezzo parete; ma massime a colui che puÚ vedere l'intiero e che ha facult‡ di far conferenza di parti a parti. Non temiamo che quello che Ë accumulato in questo mondo, per la veemenza di qualche spirito errante o per il sdegno di qualche fulmineo Giove, si disperga fuor di questa tomba o cupola del cielo, o si scuota ed emuisca come in polvere fuor di questo manto stellifero; e la natura de le cose non altrimente possa venire ad inanirsi in sustanza, che alla apparenza di nostri occhi quell'aria ch'era compreso entro la concavitade di una bolla, va in casso; perchÈ ne Ë noto un mondo, in cui sempre cosa succede a cosa senza che sia ultimo profondo, da onde, come da la mano del fabro, irreparabilmente emuiscano in nulla. Non sono fini, termini, margini, muraglia che ne defrodino e suttragano la infinita copia de le cose. Indi feconda Ë la terra ed il suo mare; indi perpetuo Ë il vampo del sole, sumministrandosi eternamente esca a gli voraci fuochi ed umori a gli attenuati mari; perchÈ dall'infinito sempre nova copia di materia sottonasce. Di maniera che megliormente intese Democrito ed Epicuro che vogliono tutto per infinito rinovarsi e restituirsi, che chi si forza di salvare eterno la costanza de l'universo, perchÈ medesimo numero a medesimo numero sempre succeda e medesime parti di materia con le medesime sempre si convertano. Or provedete, signori astrologi, con li vostri pedissequi fisici, per que' vostri cerchi che vi discriveno le fantasiate nove sfere mobili; con le quali venete ad impriggionarvi il cervello di sorte che me vi presentate non altrimente che come tanti papagalli in gabbia, mentre raminghi vi veggio ir saltellando, versando e girando entro quelli. Conoscemo che sÏ grande imperatore non ha sedia sÏ angusta, sÏ misero solio, sÏ arto tribunale, sÏ poco numerosa corte, sÏ picciolo ed imbecille simulacro, che un fantasma parturisca, un sogno fracasse, una mania ripare, una chimera disperda, una sciagura sminuisca, un misfatto ne toglia, un pensiero ne restituisca; che con un soffio si colme e con un sorso si svode; ma Ë un grandissimo ritratto, mirabile imagine, figura eccelsa, vestigio altissimo, infinito ripresentante di ripresentato infinito, e spettacolo conveniente all'eccellenza ed eminenza di chi non puÚ esser capito, compreso, appreso. CossÏ si magnifica l'eccellenza de Dio, si manifesta la grandezza de l'imperio suo: non si glorifica in uno, ma in soli innumerabili: non in una terra, un mondo, ma in diececento mila, dico in infiniti. Di sorte che non Ë vana questa potenza d'intelletto, che sempre vuole e puote aggiungere spacio a spacio, mole a mole, unitade ad unitade, numero a numero, per quella scienza che ne discioglie da le catene di uno angustissimo, e ne promove alla libert‡ d'un augustissimo imperio, che ne toglie dall'opinata povert‡ ed angustia alle innumerevoli ricchezze di tanto spacio, di sÏ dignissimo campo, di tanti coltissimi mondi; e non fa che circolo d'orizonte, mentito da l'occhio in terra e finto da la fantasia nell'etere spacioso, ne possa impriggionare il spirto sotto la custodia d'un Plutone e la mercÈ d'un Giove. Siamo exempti da la cura d'un tanto ricco possessore e poi tanto parco, sordido ed avaro elargitore, e dalla nutritura di sÏ feconda e tuttipregnante e poi sÏ meschina e misera parturiscente natura.
 Altri molti sono i degni ed onorati frutti che da questi arbori si raccoglieno, altre le messe preciose e desiderabili che da questo seme sparso riportar si possono. Le quali, per non pi˘ importunamente sollecitar la cieca invidia de gli nostri adversarii, non ameniamo a mente, ma lasciamo comprendere dal giudizio di quei che possono comprendere e giudicare. Li quali, da per se medesimi, potranno facilmente a questi posti fondamenti sopraedificar l'intiero edificio de la nostra filosofia; gii cui membri, se cossÏ piacer‡ a chi ne governa e muove, e se l'incominciata impresa non ne verr‡ interrotta, ridurremo alla tanto bramata perfezione, a fine che quello, che Ë seminato ne gli dialogi De la causa, principio ed uno, per altri germoglie, per altri cresca, per altri si mature, per altri, mediante una rara mietitura, ne addite e, per quanto Ë possibile, ne contente; mentre (avendolo sgombrato de le veccie, de gli lolii e de le raccolte zizanie) di frumento meglior che possa produr terreno de la nostra coltura, verremo ad colmar il magazzino de studiosi ingegni.
 Tra tanto, benchÈ son certo che non Ë bisogno de lo raccomandarvi, non lasciarÚ pure, per far parte del debito mio, di procurar che vi sia veramente raccomandato quello che non intrattenete tra vostri familiari come uomo di cui avete bisogno, ma come persona che ha bisogno di voi per tante e tante caggioni che vedete; considerando che, per aver appresso di voi tanti che vi serveno, non siete differente da plebei, borsieri e mercanti; ma, per aver alcunamente degno che da voi sia promosso, difeso ed aggiutato, sËte, come sempre vi siete mostrato e fuste, conforme a' principi magnanimi, eroi e Dei, li quali hanno ordinati pari vostri per la difesa de gli loro amici. E vi ricordo quel che so che non bisogna ricordarvi: che non potrete al fine esser tanto stimato dal mondo e gratificato da Dio, per essere amato e rispettato da principi quantosivoglia grandi de la terra, quanto per amare, difendere e conservare un di simili. PerchÈ non Ë cosa che quelli che con la fortuna vi son superiori, possono fare a voi che molti di lor superate con la virtude, che possa durare pi˘ che gli vostri pareti e tapezzarie; ma tal cosa voi possete fare ad altri, che facilmente vegna scritta nel libro dell'eternitade, o sia quello che si vede in terra o sia quell'altro che si crede in cielo: atteso che quanto che ricevete da altri, Ë testimonio de l'altrui virtute, ma il tanto che fate ad altro, Ë segno ed indizio espresso de la vostra. Vale.



Mio passar solitario, a quelle parti,
 A quai drizzaste gi‡ l'alto pensiero,
 Poggia infinito, poi che fia mestiero
A l'oggetto agguagliar l'industrie e l'arti.
5 Rinasci l‡; l‡ su vogli' allevarti
 Gli tuoi vaghi pulcini, omai ch'il fiero
 Destin av'ispedito il corso intiero
Contra l'impresa, onde solea ritrarti.
 Vanne da me, che pi˘ nobil ricetto
 Bramo ti godi; e arrai per guida un dio,
 Che da chi nulla vede Ë cieco detto.
 Il ciel ti scampi, e ti sia sempre pio
 Ogni nume di questo ampio architetto;
 E non tornar a me, se non sei mio.



 Uscito de priggione angusta e nera,
 Ove tant'anni error stretto m'avinse,
 Qua lascio la catena, che mi cinse
 La man di mia nemica invid'e fera.
 Presentarmi a la notte fosca sera
Oltre non mi potr‡, perchÈ chi vinse
 Il gran Piton, e del suo sangue tinse
 L'acqui del mar, ha spinta mia Megera.
 A te mi volgo e assorgo, alma mia voce:
 Ti ringrazio, mio sol, mia diva luce;
 Ti consacro il mio cor, eccelsa mano,
 Che m'avocaste da quel graffio atroce,
 Ch'a meglior stanze a me ti festi duce,
 Ch'il cor attrito mi rendeste sano.



 E chi mi impenna, e chi mi scalda il core?
 Chi non mi fa temer fortuna o morte?
 Chi le catene ruppe e quelle porte,
 Onde rari son sciolti ed escon fore?
L'etadi, gli anni, i mesi, i giorni e l'ore
Figlie ed armi del tempo, e quella corte
 A cui nÈ ferro, nÈ diamante Ë forte,
 Assicurato m'han dal suo furore.
 Quindi l'ali sicure a l'aria porgo;
NÈ temo intoppo di cristallo o vetro,
 Ma fendo i cieli e a l'infinito m'ergo.
E mentre dal mio globo a gli altri sorgo,
 E per l'eterio campo oltre penetro:
Quel ch'altri lungi vede, lascio al tergo.



Dialogo primo


Interlocutori: Elpino, Filoteo, Fracastorio, Burchio.
\ ELP.\ Come Ë possibile che l'universo sia infinito?
 \ FIL.\ Come Ë possibile che l'universo sia finito?
\ ELP.\ Volete voi che si possa dimostrar questa infinitudine?
 \ FIL.\ Volete voi che si possa dimostrar questa finitudine?
 \ ELP.\ Che dilatazione Ë questa?
 \ FIL.\ Che margine Ë questa?
 \ FRAC.\ Ad rem, ad rem, si iuvat; troppo a lungo ne avete tenuto suspesi.
\ BUR.\ Venite presto a qualche raggione, Filoteo, perchÈ io mi prenderÚ spasso de ascoltar questa favola o fantasia.
 \ FRAC.\ Modestius, Burchio: che dirai, se la verit‡ ti convincesse al fine?
\ BUR.\ Questo ancor che sia vero, io non lo voglio credere; perchÈ questo infinito non Ë possibile che possa esser capito dal mio capo, nÈ digerito dal mio stomaco; benchÈ, per dirla, pure vorrei che fusse cossÏ come dice Filoteo, perchÈ se, per mala sorte, avenesse che io cascasse da questo mondo, sempre trovarei di paese.
 \ ELP.\ Certo, o Filoteo, se noi vogliamo far il senso giudice o pur donargli quella prima che gli conviene per quel che ogni notizia prende origine da lui, trovaremo forse che non Ë facile di trovar mezzo per conchiudere quel che tu dici, pi˘ tosto che il contrario. Or, piacendovi, cominciate a farmi intendere.
 \ FIL.\ Non Ë senso che vegga l'infinito, non Ë senso da cui si richieda questa conchiusione; perchÈ l'infinito non puÚ essere oggetto del senso; e perÚ chi dimanda di conoscere questo per via di senso, Ë simile a colui che volesse veder con gli occhi la sustanza e l'essenza; e chi negasse per questo la cosa, perchÈ non Ë sensibile o visibile, verebe a negar la propria sustanza ed essere. PerÚ deve esser modo circa il dimandar testimonio del senso; a cui non doniamo luogo in altro che in cose sensibili, anco non senza suspizione, se non entra in giudizio gionto alla raggione. A l'intelletto conviene giudicare e render raggione de le cose absenti e divise per distanza di tempo ed intervallo di luoghi. Ed in questo assai ne basta ed assai sufficiente testimonio abbiamo dal senso per quel, che non Ë potente a contradirne e che oltre fa evidente e confessa la sua imbecillit‡ ed insufficienza per l'apparenza de la finitudine che caggiona per il suo orizonte, in formar della quale ancora si vede quanto sia incostante. Or, come abbiamo per esperienza, che ne inganna nella superficie di questo globo in cui ne ritroviamo, molto maggiormente doviamo averlo suspetto quanto a quel termine che nella stellifera concavit‡ ne fa comprendere.
 \ ELP.\ A che dunque ne serveno gli sensi? Dite.
 \ FIL.\ Ad eccitar la raggione solamente, ad accusare, ad indicare e testificare in parte, non a testificare in tutto, nÈ meno a giudicare, nÈ a condannare. PerchÈ giamai, quantunque perfetti, son senza qualche perturbazione. Onde la verit‡, come da un debile principio, Ë da gli sensi in picciola parte, ma non Ë nelli sensi.
 \ ELP.\ Dove dunque?
\ FIL.\ Ne l'oggetto sensibile come in un specchio, nella raggione per modo di argumentazione e discorso, nell'intelletto per modo di principio o di conclusione, nella mente in propria e viva forma.
 \ ELP.\ Su dunque, fate vostre raggioni.
\ FIL.\ CossÏ farÚ. Se il mondo Ë finito ed estra il mondo Ë nulla, vi dimando: ove Ë il mondo? ove Ë l'universo? Risponde Aristotele: Ë in se stesso. Il convesso del primo cielo Ë loco universale; e quello, come primo continente, non Ë in altro continente, perchÈ il loco non Ë altro che superficie ed estremit‡ di corpo continente; onde chi non ha corpo continente, non ha loco. - Or che vuoi dir tu, Aristotele, per questo, che "il luogo Ë in se stesso?", che mi conchiuderai per "cosa estra il mondo?". Se tu dici che non v'Ë nulla; il cielo, il mondo, certo, non sar‡ in parte alcuna;
\ FRAC.\ Nullibi ergo erit mundis. Omne erit in nihilo.
\ FIL.\ - il mondo sar‡ qualcosa che non si trova. Se dici (come certo mi par che vogli dir qualche cosa, per fuggir il vacuo ed il niente) che estra il mondo Ë uno ente intellettuale e divino, di sorte che Dio venga ad esser luogo di tutte le cose, tu medesimo sarai molto impacciato per farne intendere come una cosa incorporea, intelligibile e senza dimensione possa esser luogo di cosa dimensionata. Che se dici quello comprendere come una forma ed al modo con cui l'anima comprende il corpo, non rispondi alla questione dell'estra ed alla dimanda di ciÚ che si trova oltre e fuor de l'universo. E se tu vuoi escusare con dire, che dove Ë nulla e dove non Ë cosa alcuna, non Ë anco luogo, non Ë oltre, nÈ extra, per questo non mi contentarai; perchÈ queste sono paroli ed iscuse che non possono entrare in pensiero. PerchÈ Ë a fatto impossibile che con qualche senso o fantasia (anco se si ritrovassero altri sensi ed altre fantasie) possi farmi affirmare, con vera intenzione, che si trove tal superficie, tal margine, tal estremit‡, extra la quale non sia o corpo o vacuo: anco essendovi Dio, perchÈ la divinit‡ non Ë per impire il vacuo, e per conseguenza non Ë in raggione di quella, in modo alcuno, di terminare il corpo; perchÈ tutto lo che se dice terminare, o Ë forma esteriore, o Ë corpo continente. Ed in tutti i modi che lo volessi dire, sareste stimato pregiudicatore alla dignit‡ della natura divina ed universale.
 \ BUR.\ Certo, credo che bisognarebe dire a costui che, se uno stendesse la mano oltre quel convesso, che quella non verrebe essere in loco, e non sarebe in parte alcuna, e per consequenza non arebe l'essere.
 \ FIL.\ Giongo a questo qualmente non Ë ingegno che non concepa questo dire peripatetico come una implicata contradizione. Aristotele ha definito il loco, non come corpo continente, non come certo spacio, ma come una superficie di continente corpo; e poi il primo e principal e massimo luogo Ë quello a cui meno ed a fatto niente conviene tal diffinizione. Quello Ë la superficie convessa del primo cielo, la quale Ë superficie di corpo; e di tal corpo, il quale contiene solamente, e non Ë contenuto. Or a far che quella superficie sia luogo, non si richieda che sia di corpo contenuto, ma che sia di corpo continente. Se Ë superficie di corpo continente, e non Ë gionta e continuata a corpo contenuto, Ë un luogo senza locato; atteso che al primo cielo non conviene esser luogo, se non per la sua su[per]ficie concava, la qual tocca la convessa del secondo. Ecco, dunque, come quella definizione Ë vana e confusa ed interemptiva di se stessa. Alla qual confusione si viene per aver quell'inconveniente, che vuol che estra il cielo sia posto nulla.
 \ ELP.\ Diranno i peripatetici che il primo cielo Ë corpo continente per la superficie concava, e non per la convessa; e, secondo quella, Ë luogo.
 \ FRAC.\ Ed io soggiongo che dunque si trova superficie di corpo continente la quale non Ë loco.
\ FIL.\ In somma, per venir direttamente al proposito, mi par cosa ridicola il dire che estra il cielo sia nulla, e che il cielo sia in se stesso, e locato per accidente, e loco per accidente, idest per le sue parti. Ed intendasi quel che si voglia per il suo per accidente; che non puÚ fuggir che non faccia de uno doi; perchÈ sempre Ë altro ed altro quel che Ë continente e quel che Ë contenuto; e talmente altro ed altro che, secondo lui medesimo, il continente Ë incorporeo ed il contenuto Ë corpo; il continente Ë inmobile, il contenuto Ë mobile; il continente matematico, il contenuto fisico. Or sia che si voglia di quella superficie, constantemente dimandarÚ: che cosa Ë oltre quella? Se si risponde che Ë nulla, questo dirÚ io esser vacuo, essere inane; e tal vacuo e tal inane che non ha modo, nÈ termine alcuno olteriore; terminato perÚ citeriormente. E questo Ë pi˘ difficile ad imaginare, che il pensar l'universo essere infinito ed immenso. PerchÈ non possiamo fuggire il vacuo, se vogliamo ponere l'universo finito. Veggiamo adesso, se conviene che sia tal spacio in cui sia nulla. In questo spacio infinito si trova questo universo (o sia per caso o per necessit‡ o per providenza, per ora non me ne impaccio). Dimando se questo spacio che contiene il mondo, ha maggiore aptitudine di contenere un mondo, che altro spacio che sia oltre.
 \ FRAC.\ Certo mi par che non; perchÈ dove Ë nulla, non Ë differenza alcuna; dove non Ë differenza, non Ë altra ed altra aptitudine: e forse manco Ë attitudine alcuna dove non Ë cosa alcuna.
 \ ELP.\ NÈ tampoco inepzia alcuna. E delle due pi˘ tosto quella che questa.
\ FIL.\ Voi dite bene. CossÏ dico io che, come il vacuo ed inane (che si pone necessariamente con questo peripatetico dire) non ha aptitudine alcuna a ricevere, assai meno la deve avere a ributtare il mondo. Ma di queste due attitudini noi ne veggiamo una in atto, e l'altra non la possiamo vedere a fatto, se non con l'occhio della raggione. Come dunque in questo spacio, equale alla grandezza del mondo (il quale da platonici Ë detto materia), Ë questo mondo, cossÏ un altro puÚ essere in quel spacio ed in innumerabili spacii oltre questo equali a questo.
 \ FRAC.\ Certo, pi˘ sicuramente possiamo giudicar in similitudine di quel che veggiamo e conoscemo, che in modo contrario di quel che veggiamo e conoscemo. Onde, perchÈ per il nostro vedere ed esperimentare l'universo non si finisce, nÈ termina a vacuo ed inane e di quello non Ë nuova alcuna, raggionevolmente doviamo conchiuder cossÏ; perchÈ, quando tutte l'altre raggioni fussero equali, noi veggiamo che l'esperimento Ë contrario al vacuo e non al pieno. Con dir questo, saremo sempre iscusati; ma con dir altrimente, non facilmente fugiremo mille accusazioni ed inconvenienti. Seguitate, Filoteo.
 \ FIL.\ Dunque, dal canto del spacio infinito, conosciamo certo che Ë attitudine alla recepzione di corpo, e non sappiamo altrimente. Tutta volta mi bastar‡ avere che non ripugna a quella; almeno per questa caggione, che dove Ë nulla, nulla oltraggia. Resta ora vedere se Ë cosa conveniente che tutto il spacio sia pieno, o non. E qua, se noi consideriamo tanto in quello che puÚ essere quanto in quello che puÚ fare, trovaremo sempre non sol raggionevole, ma ancora necessario, che sia. Questo acciÚ sia manifesto, vi dimando se Ë bene che questo mondo sia.
 \ ELP.\ Molto bene.
\ FIL.\ Dunque Ë bene che questo spacio, che Ë equale alla dimension del mondo (il quale voglio chiamar vacuo, simile ed indifferente al spacio, che tu direste esser niente oltre la convessitudine del primo cielo), sia talmente ripieno. \ &R ELP.\ CossÏ Ë.
 \ FIL.\ Oltre, te dimando: credi tu che sicome in questo spacio si trova questa machina, detta mondo, che la medesima arebe possuto o potrebe essere in altro spacio di questo inane?
 \ ELP.\ DirÚ de sÏ, benchÈ non veggio come nel niente e vacuo possiamo dire differenza di altro ed altro.
 \ FRAC.\ Io son certo che vedi, ma non ardisci di affirmare, perchÈ ti accorgi dove ti vuol menare.
\ ELP.\ Affirmatelo pur sicuramente; perchÈ Ë necessario dire ed intendere che questo mondo Ë in un spacio; il quale, se il mondo non fusse, sarebe indifferente da quello che Ë oltre il primo vostro mobile.
 \ FRAC.\ Seguitate.
\ FIL.\ Dunque, sicome puÚ ed ha possuto ed Ë necessariamente perfetto questo spacio per la continenza di questo corpo universale, come dici; niente meno puÚ ed ha possuto esser perfetto tutto l'altro spacio.
 \ ELP.\ Il concedo; che per questo? PuÚ essere, puÚ avere: dunque Ë? dunque ha?
\ FIL.\ Io farÚ che, se vuoi ingenuamente confessare, che tu dica che puÚ essere e che deve essere e che Ë. PerchÈ come sarebe male che questo spacio non fusse pieno, cioË che questo mondo non fusse; non meno, per la indifferenza, Ë male che tutto il spacio non sia pieno; e per consequenza l'universo sar‡ di dimensione infinita e gli mondi saranno innumerabili.
 \ ELP.\ La causa perchÈ denno essere tanti, e non basta uno?
\ FIL.\ PerchÈ, se Ë male che questo mondo non sia o che questo pieno non si ritrove, Ë al riguardo di questo spacio o di altro spacio equale a questo?
\ ELP.\ Io dico che Ë male al riguardo di quel che Ë in questo spacio, che indifferentemente si potrebe ritrovare in altro spacio equale a questo.
 \ FIL.\ Questo, se ben consideri, viene tutto ad uno; perchÈ la bont‡ di questo essere corporeo che Ë in questo spacio o potrebe essere in altro equale a questo, rende raggione e riguarda a quella bont‡ conveniente e perfezione che puÚ essere in tale e tanto spacio, quanto Ë questo, o altro equale a questo, e non ad quella che puÚ essere in innumerabili altri spacii, simili a questo. Tanto pi˘ che, se Ë raggione che sia un buono finito, un perfetto terminato; improporzionalmente Ë raggione che sia un buono infinito; perchÈ, dove il finito bene Ë per convenienza e raggione, l'infinito Ë per absoluta necessit‡.
 \ ELP.\ L'infinito buono certamente Ë, ma Ë incorporeo.
\ FIL.\ In questo siamo concordanti, quanto a l'infinito incorporeo. Ma che cosa fa che non sia convenientissimo il buono, ente, corporeo infinito? O che repugna che l'infinito, implicato nel simplicissimo ed individuo primo principio, non venga esplicato pi˘ tosto in questo suo simulacro infinito ed interminato, capacissimo de innumerabili mondi, che venga esplicato in sÏ anguste margini, di sorte che par vituperio il non pensare che questo corpo, che a noi par vasto e grandissimo, al riguardo della divina presenza non sia che un punto, anzi un nulla?
\ ELP.\ Come la grandezza de Dio non consiste nella dimensione corporale in modo alcuno (lascio che non li aggionge nulla il mondo), cossÏ la grandezza del suo simulacro non doviamo pensare che consista nella maggiore e minore mole di dimensioni.
 \ FIL.\ Assai bene dite, ma non rispondete al nervo della raggione; perchÈ io non richiedo il spacio infinito, e la natura non ha spacio infinito, per la dignit‡ della dimensione o della mole corporea, ma per la dignit‡ delle nature e specie corporee; perchÈ incomparabilmente meglio in innumerabili individui si presenta l'eccellenza infinita, che in quelli che sono numerabili e finiti. PerÚ, bisogna che di un inaccesso volto divino sia un infinito simulacro, nel quale, come infiniti membri, poi si trovino mondi innumerabili, quali sono gli altri. PerÚ, per la raggione de innumerabili gradi di perfezione, che denno esplicare la eccellenza divina incorporea per modo corporeo, denno essere innumerabili individui, che son questi grandi animali (de quali uno Ë questa terra, diva madre che ne ha parturiti ed alimenta e che oltre non ne riprender‡), per la continenza di questi innumerabili si richiede un spacio infinito. Nientemeno dunque Ë bene che siano, come possono essere, innumerabili mondi simili a questo, come ha possuto e puÚ essere ed Ë bene che sia questo.
 \ ELP.\ Diremo che questo mondo finito, con questi finiti astri, comprende la perfezione de tutte cose.
 \ FIL.\ Possete dirlo, ma non gi‡ provarlo; perchÈ il mondo che Ë in questo spacio finito, comprende la perfezione di tutte quelle cose finite che son in questo spacio; ma non gi‡ dell'infinite che possono essere in altri spacii innumerabili.
 \ FRAC.\ Di grazia, fermiamoci, e non facciamo come i sofisti li quali disputano per vencere, e mentre rimirano alla lor palma, impediscono che essi ed altri non comprendano il vero. Or io credo che non sia perfidioso tanto pertinace, che voglia oltre calunniare, che per la raggion del spacio che puÚ infinitamente comprendere, e per la raggione della bont‡ individuale e numerale de infiniti mondi che possono essere compresi niente meno che questo uno che noi conosciamo, hanno ciascuno di essi raggione di convenientemente essere. PerchÈ infinito spacio ha infinita attitudine, ed in quella infinita attitudine si loda infinito atto di existenza; per cui l'efficiente infinito non Ë stimato deficiente, e per cui l'attitudine non Ë vana. Contentati dunque, Elpino, di ascoltar altre raggioni, se altre occorreno a Filoteo.
 \ ELP.\ Io veggio bene, a dire il vero, che dire il mondo, come dite voi l'universo, interminato non porta seco inconveniente alcuno, e ne viene a liberar da innumerabili angustie nelle quali siamo avilupati dal contrario dire. Conosco particolarmente che ne bisogna con i peripatetici tal volta dir cosa che nella nostra intenzione non tiene fondamento alcuno: come, dopo aver negato il vacuo, tanto fuori quanto dentro l'universo, vogliamo pur rispondere alla questione che cerca dove sia l'universo; e dire quello essere ne le sue parti, per tema di dire che lo non sia in loco alcuno; come Ë dire nullibi, nusquam. Ma non si puÚ togliere che in quel modo Ë bisogno di dire le parti ritrovarsi in qualche loco, e l'universo non essere in loco alcuno nÈ in spacio; il qual dire, come ognun vede, non puÚ essere fondato sopra intenzione alcuna, ma significa espressamente una pertinace fuga, per non confessar la verit‡ con ponere il mondo ed universo infinito, o con ponere il spacio infinito; da le quali ambe posizioni sÈguita gemina confusione a chi le tiene. Affermo dunque che, se il tutto Ë un corpo, e corpo sferico, e per consequenza figurato e terminato, bisogna che sia terminato in spacio infinito; nel quale, se vogliamo dire che sia nulla, Ë necessario concedere che sia il vero vacuo: il quale, se Ë, non ha minor raggione in tutto che in questa parte che qua veggiamo capace di questo mondo; se non Ë, deve essere il pieno, e consequentemente l'universo infinito. E non meno insipidamente siegue il mondo essere alicubi, avendo detto che estra quello Ë nulla, e che vi Ë nelle sue parti, che se uno dicesse Elpino essere alicubi, perchÈ la sua mano Ë nel suo braccio, l'occhio nel suo volto, il piË nella gamba, il capo nel suo busto. Ma, per venire alla conclusione e per non portarmi da sofista fissando il piË su l'apparente difficoltadi, e spendere il tempo in ciancie, affermo quel che non posso negare: cioË, che nel spacio infinito o potrebono essere infiniti mondi simili a questo, o che questo universo stendesse la sua capacit‡ e comprensione di molti corpi, come son questi, nomati astri; ed ancora che (o simili o dissimili che sieno questi mondi) non con minor raggione sarebe bene a l'uno l'essere che a l'altro; perchÈ l'essere de l'altro non ha minor raggione che l'essere de l'uno, e l'essere di molti non minor che de l'uno e l'altro, e l'essere de infiniti che di molti. L‡ onde, come sarebe male la abolizione ed il non essere di questo mondo, cossÏ non sarebe buono il non essere de innumerabili altri.
 \ FRAC.\ Vi esplicate molto bene, e mostrate di comprender bene le raggioni e non esser sofista, perchÈ accettate quel che non si puÚ negare.
 \ ELP.\ Pure vorei udire quel che resta di raggione del principio e causa efficiente eterna: se a quella convegna questo effetto di tal sorte infinito, e se per tanto in fatto tale effetto sia.
 \ FIL.\ Questo Ë quel che io dovevo aggiongere. PerchÈ, dopo aver detto l'universo dover essere infinito per la capacit‡ ed attitudine del spacio infinito, e per la possibilit‡ e convenienza dell'essere di innumerabili mondi, come questo; resta ora provarlo e dalle circostanze dell'efficiente che deve averlo produtto tale, o, per parlar meglio, produrlo sempre tale, e dalla condizione del modo nostro de intendere. Possiamo pi˘ facilmente argumentare che infinito spacio sia simile a questo che veggiamo, che argumentare che sia tale quale non lo veggiamo nÈ per essempio nÈ per similitudine nÈ per proporzione nÈ anco per imaginazione alcuna la quale al fine non destrugga se medesima. Ora, per cominciarla: perchÈ vogliamo o possiamo noi pensare che la divina efficacia sia ociosa? perchÈ vogliamo che la divina bont‡ la quale si puÚ communicare alle cose infinite e si puÚ infinitamente diffondere, voglia essere scarsa ed astrengersi in niente, atteso che ogni cosa finita al riguardo de l'infinito Ë niente? perchÈ volete quel centro della divinit‡, che puÚ infinitamente in una sfera (se cossÏ si potesse dire) infinita amplificarse, come invidioso, rimaner pi˘ tosto sterile che farsi comunicabile, padre fecondo, ornato e bello? voler pi˘ tosto comunicarsi diminutamente e, per dir meglio, non comunicarsi, che secondo la raggione della gloriosa potenza ed esser suo? perchÈ deve esser frustrata la capacit‡ infinita, defraudata la possibilit‡ de infiniti mondi che possono essere, pregiudicata la eccellenza della divina imagine che deverebe pi˘ risplendere in uno specchio incontratto e secondo il suo modo di essere infinito, immenso? perchÈ doviamo affirmar questo che, posto, mena seco tanti inconvenienti e, senza faurir leggi, religioni, fede o moralit‡ in modo alcuno, destrugge tanti principii di filosofia? Come vuoi tu che Dio, e quanto alla potenza e quanto a l'operazione e quanto a l'effetto (che in lui son medesima cosa), sia determinato, e come termino della convessitudine di una sfera, pi˘ tosto che, come dir si puÚ, termino interminato di cosa interminata? Termino, dico, senza termine, per esser differente la infinit‡ dell'uno da l'infinit‡ dell'altro: perchÈ lui Ë tutto l'infinito complicatamente e totalmente, ma l'universo Ë tutto in tutto (se pur in modo alcuno si puÚ dir totalit‡, dove non Ë parte nÈ fine) explicatamente, e non totalmente; per il che l'uno ha raggion di termine, l'altro ha raggion di terminato, non per differenza di finito ed infinito, ma perchÈ l'uno Ë infinito e l'altro Ë finiente secondo la raggione del totale e totalmente essere in tutto quello che, benchÈ sia tutto infinito, non Ë perÚ totalmente infinito; perchÈ questo ripugna alla infinit‡ dimensionale.
 \ ELP.\ Io vorrei meglio intender questo. PerÚ mi farete piacere di esplicarvi alquanto per quel che dite essere tutto in tutto totalmente, e tutto in tutto l'infinito e totalmente infinito.
 \ FIL.\ Io dico l'universo tutto infinito, perchÈ non ha margine, termino, nÈ superficie; dico l'universo non essere totalmente infinito, perchÈ ciascuna parte che di quello possiamo prendere, Ë finita, e de mondi innumerabili che contiene, ciascuno Ë finito. Io dico Dio tutto infinito, perchÈ da sÈ esclude ogni termine ed ogni suo attributo Ë uno ed infinito; e dico Dio totalmente infinito, perchÈ tutto lui Ë in tutto il mondo, ed in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente: al contrario dell'infinit‡ de l'universo, la quale Ë totalmente in tutto, e non in queste parti (se pur, referendosi all'infinito, possono esser chiamate parti) che noi possiamo comprendere in quello.
 \ ELP.\ Io intendo. Or seguite il vostro proposito.
\ FIL.\ Per tutte le raggioni, dunque, per le quali se dice esser conveniente, buono, necessario questo mondo compreso come finito, deve dirse esserno convenienti e buoni tutti gli altri innumerabili; a li quali, per medesima raggione, l'omnipotenza non invidia l'essere; e senza li quali quella, o per non volere o per non possere, verrebe ad esser biasimata per lasciar un vacuo o, se non vuoi dir vacuo, un spacio infinito; per cui non solamente verrebe suttratta infinita perfezione dello ente, ma anco infinita maest‡ attuale allo efficiente nelle cose fatte se son fatte, o dependenti se sono eterne. Qual raggione vuole che vogliamo credere, che l'agente che puÚ fare un buono infinito, lo fa finito? E se lo fa finito, perchÈ doviamo noi credere che possa farlo infinito, essendo in lui il possere ed il fare tutto uno? PerchÈ Ë inmutabile, non ha contingenzia nella operazione, nÈ nella efficacia, ma da determinata e certa efficacia depende determinato e certo effetto inmutabilmente; onde non puÚ essere altro che quello che Ë; non puÚ esser tale quale non Ë; non puÚ posser altro che quel che puÚ; non puÚ voler altro che quel che vuole; e necessariamente non puÚ far altro che quel che fa; atteso che l'aver potenza distinta da l'atto conviene solamente a cose mutabili.
 \ FRAC.\ Certo, non Ë soggetto di possibilit‡ o di potenza quello che giamai fu, non Ë e giamai sar‡; e veramente, se il primo efficiente non puÚ voler altro che quel che vuole, non puÚ far altro che quel che fa. E non veggo come alcuni intendano quel che dicono della potenza attiva infinita, a cui non corrisponda potenza passiva infinita, e che quello faccia uno e finito che puÚ far innumerabili ne l'infinito ed inmenso, essendo l'azion sua necessaria, perchÈ procede da tal volont‡ quale, per essere inmutabilissima, anzi la immutabilit‡ istessa, Ë ancora la istessa necessit‡; onde sono a fatto medesima cosa libert‡, volont‡, necessit‡, ed oltre il fare col volere, possere ed essere.
 \ FIL.\ Voi consentite, e dite molto bene. Adunque, bisogna dir una de due: o che l'efficiente, possendo dependere da lui l'effetto infinito, sia riconosciuto come causa e principio d'uno inmenso universo che contiene mondi innumerabili; e da questo non siegue inconveniente alcuno, anzi tutti convenienti, e secondo la scienza e secondo le leggi e fede; o che, dependendo da lui un finito universo, con questi mondi (che son gli astri) di numero determinato, sia conosciuto di potenza attiva finita e determinata, come l'atto Ë finito e determinato; perchÈ quale Ë l'atto, tale Ë la volont‡, tale Ë la potenza.
 \ FRAC.\ Io completto ed ordino un paio di sillogismi in questa maniera. Il primo efficiente, se volesse far altro che quel che vuol fare, potrebe far altro che quel che fa; ma non puÚ voler far altro che quel che vuol fare; dunque non puÚ far altro che quel che fa. Dunque, chi dice l'effetto finito, pone l'operazione e la potenza finita. Oltre (che viene al medesimo): il primo efficiente non puÚ far se non quel che vuol fare; non vuol fare se non quel che fa; dunque, non puÚ fare se non quel che fa. Dunque, chi nega l'effetto infinito, nega la potenza infinita.
 \ FIL.\ Questi, se non son semplici, sono demostrativi sillogismi. Tutta volta lodo che alcuni degni teologi non le admettano; perchÈ, providamente considerando, sanno che gli rozzi popoli ed ignoranti con questa necessit‡ vegnono a non posser concipere come possa star la elezione e dignit‡ e meriti di giusticia; onde, confidati o desperati sotto certo fato, sono necessariamente sceleratissimi. Come talvolta certi corrottori di leggi, fede e religione, volendo parer savii, hanno infettato tanti popoli, facendoli dovenir pi˘ barbari e scelerati che non eran prima, dispreggiatori del ben fare ed assicuratissimi ad ogni vizio e ribaldaria, per le conclusioni che tirano da simili premisse. PerÚ non tanto il contrario dire appresso gli sapienti Ë scandaloso e detrae alla grandezza ed eccellenza divina, quanto quel che Ë vero, Ë pernicioso alla civile conversazione e contrario al fine delle leggi, non per esser vero, ma per esser male inteso, tanto per quei che malignamente il trattano, quanto per quei che non son capaci de intenderlo senza iattura di costumi.
 \ FRAC.\ Vero. Non si Ë trovato giamai filosofo, dotto ed uomo da bene che, sotto specie o pretesto alcuno, da tal proposizione avesse voluto tirar la necessit‡ delli effetti umani e destruggere l'elezione. Come, tra gli altri, Platone ed Aristotele, con ponere la necessit‡ ed immutabilit‡ in Dio, non poneno meno la libert‡ morale e facult‡ della nostra elezione; perchÈ sanno bene e possono capire, come siano compossibili questa necessit‡ e questa libert‡. PerÚ alcuni di veri padri e pastori di popoli toglieno forse questo dire ed altro simile per non donare comodit‡, a scelerati e seduttori nemici della civilit‡ e profitto generale, di tirar le noiose conclusioni abusando della semplicit‡ ed ignoranza di quei che difficilmente possono capire il vero e prontissimamente sono inclinati al male. E facilmente condonaranno a noi di usar le vere proposizioni, dalle quali non vogliamo inferir altro che la verit‡ della natura e dell'eccellenza de l'autor di quella; e le quali non son proposte da noi al volgo, ma a sapienti soli che possono aver accesso all'intelligenza di nostri discorsi. Da questo principio depende che gli non men dotti che religiosi teologi giamai han pregiudicato alla libert‡ de filosofi; e gli veri, civili e bene accostumati filosofi sempre hanno faurito le religioni; perchÈ gli uni e gli altri sanno che la fede si richiede per l'instituzione di rozzi popoli che denno esser governati, e la demostrazione per gli contemplativi che sanno governar sÈ ed altri.
 \ ELP.\ Quanto a questa protestazione Ë detto assai. Ritornate ora al proposito.
\ FIL.\ Per venir, dunque, ad inferir quel che vogliamo, dico che, se nel primo efficiente Ë potenza infinita, Ë ancora operazion da la quale depende l'universo di grandezza infinita e mondi di numero infinito.
\ ELP.\ Quel che dite, contiene in sÈ gran persuasione, se non contiene la verit‡. Ma questo che mi par molto verisimile, io lo affermarÚ per vero, se mi potrete risolvere di uno importantissimo argomento per il quale Ë stato ridutto Aristotele a negar la divina potenza infinita intensivamente, benchÈ la concedesse estensivamente. Dove la raggione della negazione sua era che, essendo in Dio cosa medesima potenza e atto, possendo cossÏ movere infinitamente, moverebbe infinitamente con vigore infinito; il che se fusse vero, verrebe il cielo mosso in istante; perchÈ, se il motor pi˘ forte muove pi˘ velocemente, il fortissimo muove velocissimamente, l'infinitamente forte muove istantaneamente. La raggione della affirmazione era, che lui eternamente e regolatamente muove il primo mobile, secondo quella raggione e misura con la quale il muove. Vedi dunque per che raggione li attribuisce infinit‡ estensiva - ma non infinit‡ absoluta - ed intensivamente ancora. Per il che voglio conchiudere che, sicome la sua potenza motiva infinita Ë contratta all'atto di moto secondo velocit‡ finita, cossÏ la medesima potenza di far l'inmenso ed innumerabili Ë limitata dalla sua volunt‡ al finito e numerabili. Quasi il medesimo vogliono alcuni teologi, i quali, oltre che concedeno la infinit‡ estensiva con la quale successivamente perpetua il moto dell'universo, richiedeno ancora la infinit‡ intensiva con la quale puÚ far mondi innumerabili, muovere mondi innumerabili, e ciascuno di quelli e tutti quelli insieme muovere in uno istante: tutta volta, cossÏ ha temprato con la sua volunt‡ la quantit‡ della moltitudine di mondi innumerabili, come la qualit‡ del moto intensissimo. Dove, come questo moto, che procede pure da potenza infinita, nulla obstante, Ë conosciuto finito, cossÏ facilmente il numero di corpi mondani potr‡ esser creduto determinato.
 \ FIL.\ L'argumento in vero Ë di maggior persuasione ed apparenza che altro possa essere; circa il quale Ë detto gi‡ a bastanza per quel, che si vuole che la volont‡ divina sia regolatrice, modificatrice e terminatrice della divina potenza. Onde seguitano innumerabili inconvenienti, secondo la filosofia al meno; lascio i principii teologali, i quali con tutto ciÚ non admetteranno che la divina potenza sia pi˘ che la divina volont‡ o bont‡, e generalmente che uno attributo secondo maggior raggione convegna alla divinit‡ che un altro.
 \ ELP.\ Or perchÈ dunque hanno quel modo di dire, se non hanno questo modo di intendere?
 \ FIL.\ Per penuria di termini ed efficaci resoluzioni.
\ ELP.\ Or dunque voi, che avete particular principii, con gli quali affermate l'uno, cioË che la potenza divina Ë infinita intensiva ed estensivamente; e che l'atto non Ë distinto dalla potenza, e che per questo l'universo Ë infinito e gli mondi sono innumerabili; e non negate l'altro, che in fatto ciascuno de li astri o orbi, come ti piace dire, vien mosso in tempo e non in instante; mostrate con quai termini e con che risoluzione venete a salvar la vostra, o togliere l'altrui persuasioni, per le quali giudicano, in conclusione, il contrario di quel che giudicate voi.
 \ FIL.\ Per la risoluzion di quel che cercate, dovete avertire prima che, essendo l'universo infinito ed immobile, non bisogna cercare il motor di quello. Secondo che, essendo infiniti gli mondi contenuti in quello, quali sono le terre, li fuochi ed altre specie di corpi chiamati astri, tutti se muoveno dal principio interno, che Ë la propria anima, come in altro loco abbiamo provato; e perÚ Ë vano andar investigando il lor motore estrinseco. Terzo che questi corpi mondani si muoveno nella eterea regione non affissi o inchiodati in corpo alcuno pi˘ che questa terra, che Ë un di quelli, Ë affissa; la qual perÚ proviamo che dall'interno animale instinto circuisce il proprio centro, in pi˘ maniere, e il sole. Preposti cotali avertimenti secondo gli nostri principii, non siamo forzati a dimostrar moto attivo nÈ passivo di vert˘ infinita intensivamente; perchÈ il mobile ed il motore Ë infinito, e l'anima movente ed il corpo moto concorreno in un finito soggetto; in ciascuno, dico, di detti mondani astri. Tanto, che il primo principio non Ë quello che muove; ma, quieto ed immobile, d‡ il posser muoversi a infiniti ed innumerabili mondi, grandi e piccoli animali posti nell'amplissima reggione de l'universo, de quali ciascuno, secondo la condizione della propria virt˘, ha la raggione di mobilit‡, motivit‡ ed altri accidenti.
 \ ELP.\ Voi siete fortificato molto, ma non gi‡ per questo gittate la machina delle contrarie opinioni. Le quali tutte hanno per famoso e come presupposto, che l'Optimo Massimo muove il tutto. Tu dici che dona il muoversi al tutto che si muove; e perÚ il moto accade secondo la virt˘ del prossimo motore. Certo, mi pare pi˘ tosto raggionevole di vantaggio che meno conveniente questo tuo dire che il comune determinare; tutta volta, - per quel che solete dire circa l'anima del mondo e circa l'essenza divina, che Ë tutta in tutto, empie tutto ed Ë pi˘ intrinseca alle cose che la essenzia propria de quelle, perchÈ Ë la essenzia de le essenzie, vita de le vite, anima de le anime, - perÚ non meno mi par che possiamo dire lui movere il tutto, che dare al tutto il muoversi. Onde il dubio gi‡ fatto par che anco stia su li suoi piedi.
 \ FIL.\ Ed in questo facilmente posso satisfarvi. Dico, dunque, che nelle cose Ë da contemplare, se cossÏ volete doi principii attivi di moto: l'uno finito secondo la raggione del finito soggetto, e questo muove in tempo; l'altro infinito secondo la raggione dell'anima del mondo, overo della divinit‡, che Ë come anima de l'anima, la quale Ë tutta in tutto e fa esser l'anima tutta in tutto; e questo muove in istante. La terra dunque ha dui moti. CossÏ tutti gli corpi che si muoveno, hanno dui principii di moto; de quali il principio infinito Ë quello che insieme insieme muove ed ha mosso; onde, secondo quella raggione, il corpo mobile non meno Ë stabilissimo che mobilissimo. Come appare nella presente figura, che voglio significhe la terra; che Ë mossa in instante in quanto che ha motore di virt˘ infinita. Quella, movendosi con il centro da A in E, e tornando da E in A, e questo essendo in uno instante, insieme insieme e in A ed in E ed in tutti gli luoghi tramezzanti; e perÚ insieme insieme Ë partita e ritornata; e questo essendo sempre cossÏ, aviene che sempre sia stabilissima. Similmente, quanto al suo moto circa il centro, dove Ë il suo oriente I, il mezzo giorno V, l'occidente K, il merinozio O; ciascuno di questi punti circuisce per virt˘ di polso infinito; e perÚ ciascuno di quelli insieme insieme Ë partito ed Ë ritornato; per consequenza Ë fisso sempre, ed Ë dove era. Tanto che, in conclusione, questi corpi essere mossi da virt˘ infinita Ë medesimo che non esser mossi; perchÈ movere in instante e non movere Ë tutto medesimo ed uno. Rimane, dunque, l'altro principio attivo del moto, il quale Ë dalla virt˘ intrinseca, e per conseguenza Ë in tempo e certa successione; e questo moto Ë distinto dalla quiete. Ecco, dunque, come possiamo dire Dio muovere il tutto; e come doviamo intendere, che d‡ il muoversi al tutto che si muove.
 \ ELP.\ Or che tanto alta ed efficacemente mi hai tolta e risoluta questa difficolt‡, io cedo a fatto al vostro giudizio, e spero oltre sempre da voi ricevere simili resoluzioni; perchÈ, benchÈ in poco sin ora io v'abbia pratticato e tentato, ho pur ricevuto e conceputo assai; e spero di gran vantaggio pi˘; perchÈ, benchÈ a pieno non vegga l'animo vostro, dal raggio che diffonde scorgo che dentro si rinchiude o un sole oppure un luminar maggiore. E da oggi in poi, non con speranza di superar la vostra sufficienza, ma con dissegno di porgere occasione a vostre elucidazioni, ritornarÚ a proporvi, se vi dignarete di farvi ritrovar per tanti giorni alla medesima ora in questo loco, quanti bastaranno ad udir ed intender tanto che mi quiete a fatto la mente.
 \ FIL.\ CossÏ farÚ.
\ FRAC.\ Sarai gratissimo, e vi saremo attentissimi auditori.
\ BUR.\ Ed io, quantunque poco intendente, se non intenderÚ li sentimenti, ascoltarÚ le paroli; se non ascoltarÚ le paroli, udirÚ la voce. Adio!


Dialogo secondo


\ FIL.\ PerchÈ il primo principio Ë simplicissimo, perÚ, se secondo uno attributo fusse finito, sarebe finito secondo tutti gli attributi; o pure, secondo certa raggione intrinseca essendo finito e secondo certa infinito, necessariamente in lui si intenderebe essere composizione. Se, dunque, lui Ë operatore de l'universo, certo Ë operatore infinito e riguarda effetto infinito; effetto dico, in quanto che tutto ha dependenza da lui. Oltre, sicome la nostra imaginazione Ë potente di procedere in infinito, imaginando sempre grandezza dimensionale oltra grandezza e numero oltra numero, secondo certa successione e, come se dice, in potenzia, cossÏ si deve intendere che Dio attualmente intende infinita dimensione ed infinito numero. E da questo intendere sÈguita la possibilit‡ con la convenienza ed opportunit‡, che ponemo essere: dove, come la potenza attiva Ë infinita, cossÏ, per necessaria conseguenza, il soggetto di tal potenza Ë infinito; perchÈ, come altre volte abiamo dimostrato, il posser fare pone il posser esser fatto, il dimensionativo pone il dimensionabile, il dimensionante pone il dimensionato. Giongi a questo che, come realmente si trovano corpi dimensionati finiti, cossÏ l'intelletto primo intende corpo e dimensione. Se lo intende, non meno lo intende infinito; se lo intende infinito ed il corpo Ë inteso infinito, necessariamente tal specie intelligibile Ë; e per esser produtta da tale intelletto, quale Ë il divino, Ë realissima; e talmente reale, che ha pi˘ necessario essere che quello che attualmente Ë avanti gli nostri occhi sensitivi. Quando, se ben consideri, aviene che, come veramente Ë uno individuo infinito simplicissimo, cossÏ sia uno amplissimo dimensionale infinito, il quale sia in quello, e nel quale sia quello, al modo con cui lui Ë nel tutto, ed il tutto Ë in lui. Appresso, se per la qualit‡ corporale veggiamo che un corpo ha potenza di aumentarsi in infinito; come si vede nel fuoco, il quale, come ognun concede, si amplificarebe in infinito, se si gli avicinasse materia ed esca; qual raggion vuole, che il fuoco, che puÚ essere infinito e puÚ esser per conseguenza fatto infinito, non possa attualmente trovarsi infinito? Certo non so, come possiamo fengere nella materia essere qualche cosa in potenza passiva che non sia in potenza attiva nell'efficiente, e per conseguenza in atto, anzi l'istesso atto. Certo, il dire che lo infinito Ë in potenza ed in certa successione e non in atto necessariamente apporta seco che la potenza attiva possa ponere questo in atto successivo e non in atto compito; perchÈ l'infinito non puÚ esser compito. Onde seguitarebe ancora che la prima causa non ha potenza attiva semplice, absoluta ed una; ma una potenza attiva a cui risponde la possibilit‡ infinita successiva, ed un'altra a cui responde la possibilit‡ indistinta da l'atto. Lascio che, essendo terminato il mondo, e non essendo modo di imaginare come una cosa corporea venga circonferenzialmente a finirsi ad una cosa incorporea, sarebe questo mondo in potenza e facult‡ di svanirsi ed annullarsi: perchÈ, per quanto comprendemo, tutt'i corpi sono dissolubili. Lascio, dico, che non sarebe raggion che tolga che tal volta l'inane infinito, benchÈ non si possa capire di potenza attiva, debba assorbire questo mondo come un nulla. Lascio che il luogo, spacio ed inane ha similitudine con la materia, se pur non Ë la materia istessa; come forse non senza caggione tal volta par che voglia Platone e tutti quelli che definiscono il luogo come certo spacio. Ora, se la materia ha il suo appetito, il quale non deve essere in vano, perchÈ tale appetito Ë della natura e procede da l'ordine della prima natura, bisogna che il loco, il spacio, l'inane abbiano cotale appetito. Lascio che, come Ë stato di sopra accennato, nessun di questi che dice il mondo terminato, dopo aver affirmato il termine, sa in modo alcuno fingere come quello sia; ed insieme insieme alcun di questi, negando il vacuo ed inane con le proposte e paroli, con l'esecuzione poi ed effetto viene a ponerlo necessariamente. Se Ë vacuo ed inane, Ë certo capace di ricevere; e questo non si puÚ in modo alcuno negare, atteso che - per tal raggione medesima, per la quale Ë stimato impossibile che nel spacio dove Ë questo mondo, insieme insieme si trove contenuto un altro mondo - deve esser detto possibile che nel spacio fuor di questo mondo, o in quel niente, se cossÏ dir vuole Aristotele quello che non vuol dir vacuo, possa essere contenuto. La raggione, per la quale lui dice dui corpi non possere essere insieme, Ë l'incompossibilit‡ delle dimensioni di uno ed un altro corpo: resta, dunque, per quanto richiede tal raggione, che dove non sono le dimensioni de l'uno, possono essere le dimensioni de l'altro. Se questa potenza vi Ë, dunque il spacio in certo modo Ë materia; se Ë materia, ha l'aptitudine; se ha l'aptitudine, per qual raggione doviamo negargli l'atto?
 \ ELP.\ Molto bene. Ma di grazia, procediate in altro; fatemi intendere come differenza fate tra il mondo e l'universo.
 \ FIL.\ La differenza Ë molto divolgata fuor della scola peripatetica. Gli stoici fanno differenza tra il mondo e l'universo, perchÈ il mondo Ë tutto quello che Ë pieno e costa di corpo solido; l'universo Ë non solamente il mondo, ma oltre il vacuo, inane e spacio extra di quello: e perÚ dicono il mondo essere finito, ma l'universo infinito. Epicuro similmente il tutto ed universo chiama una mescuglia di corpi ed inane; ed in questo dice consistere la natura del mondo, il quale Ë infinito: e nella capacit‡ dell'inane e vacuo e, oltre, nella moltitudine di corpi che sono in quello. Noi non diciamo vacuo alcuno, come quello che sia semplicemente nulla; ma secondo quella raggione, con la quale ciÚ che non Ë corpo che resista sensibilmente, tutto suole esser chiamato, se ha dimensione, vacuo: atteso che comunmente non apprendeno l'esser corpo, se non con la propriet‡ di resistenza; onde dicono che, sicome non Ë carne quello che non Ë vulnerabile, cossÏ non Ë corpo quello che non resiste. In questo modo diciamo esser un infinito, cioË una eterea regione inmensa, nella quale sono innumerabili ed infiniti corpi, come la terra, la luna ed il sole; li quali da noi son chiamati mondi composti di pieno e vacuo: perchÈ questo spirito, questo aria, questo etere non solamente Ë circa questi corpi, ma ancora penetra dentro tutti, e viene insito in ogni cosa. Diciamo ancora vacuo secondo quella raggione, per la quale rispondemo alla questione che dimandasse dove Ë l'etere infinito e gli mondi; e noi rispondessimo: in un spacio infinito, in un certo seno nel quale ed Ë e s'intende il tutto, ed il quale non si puÚ intendere nÈ essere in altro.
 Or qua Aristotele, confusamente prendendo il vacuo secondo queste due significazioni ed un'altra terza, che lui fenge e lui medesimo non sa nominare nÈ diffinire, si va dibattendo per togliere il vacuo: e pensa con il medesimo modo di argumentare destruggere a fatto tutte le opinioni del vacuo. Le quali perÚ non tocca, pi˘ che se, per aver tolto il nome di qualche cosa, alcuno pensasse di aver tolta la cosa; perchÈ destrugge, se pur destrugge, il vacuo secondo quella raggione la quale forse non Ë stata presa da alcuno: atteso che gli antichi e noi prendiamo il vacuo per quello in cui puÚ esser corpo e che puÚ contener qualche cosa ed in cui sono gli atomi e gli corpi; e lui solo diffinisce il vacuo per quello che Ë nulla, in cui Ë nulla e non puÚ esser nulla. Laonde, prendendo il vacuo per nome ed intenzione secondo la quale nessuno lo intese, vien a far castelli in aria e destruggere il suo vacuo e non quello di tutti gli altri che han parlato di vacuo e si son serviti di questo nome vacuo. Non altrimenti fa questo sofista in tutti gli altri propositi, come del moto, infinito, materia, forma, demostrazione, ente; dove sempre edifica sopra la fede della sua definizion propria e nome preso secondo nova significazione. Onde ciascun che non Ë a fatto privo di giudizio, puÚ facilmente accorgersi quanto quest'uomo sia superficiale circa la considerazion della natura de le cose, e quanto sia attaccato alle sue non concedute, nÈ degne d'esserno concedute, supposizioni, pi˘ vane nella sua natural filosofia che giamai si possano fingere nella matematica. E vedete che di questa vanit‡ tanto si gloriÚ e si compiacque che, in proposito della considerazion di cose naturali, ambisce tanto di esser stimato raziocinale o, come vogliam dire logico, che, per modo d'improperio, quelli che son stati pi˘ solleciti della natura, realit‡ e verit‡, le chiama fisici. Or, per venire a noi, atteso che nel suo libro Del vacuo nÈ diretta nÈ indirettamente dice cosa che possa degnamente militare contra la nostra intenzione, lo lasciamo star cossÏ, rimettendolo forse a pi˘ ociosa occasione. Dunque, se ti piace, Elpino, forma ed ordina quelle raggioni, per le quali l'infinito corpo non viene admesso da gli nostri adversarii, ed appresso quelle, per le quali non possono comprendere essere mondi innumerabili.
 \ ELP.\ CossÏ farÚ. Io referirÚ le sentenze d'Aristotele per ordine, e voi direte circa quelle ciÚ che vi occorre. "» da considerare", dice egli, "se si trova corpo infinito, come alcuni antichi filosofi dicono, o pur questo sia una cosa impossibile; ed appresso Ë da vedere se sia uno over pi˘ mondi. La risoluzion de le quali questioni Ë importantissima: perchÈ l'una e l'altra parte della contradizione son di tanto momento, che son principio di due sorte di filosofare molto diverso e contrario: come, per essempio, veggiamo, che da quel primo error di coloro che hanno poste le parti individue, hanno chiuso il camino di tal sorte, che vegnono ad errare in gran parte della matematica. Snodaremo dunque proposito di gran momento per le passate, presenti e future difficultadi; perchÈ, quantunque poco di trasgressione che si fa nel principio, viene per diecemila volte a farsi maggiore nel progresso; come, per similitudine, nell'errore che si fa nel principio di qualche camino, il quale tanto pi˘ si va aumentando e crescendo, quanto maggior progresso si fa allontanandosi dal principio, di sorte che al fine si viene ad giongere a termine contrario a quello che era proposto. E la raggion di questo Ë, che gli principii son piccioli in grandezza e grandissimi in efficacia. Questa Ë la raggione della determinazione di questo dubio".
 \ FIL.\ Tutto lo che dice Ë necessarissimo, e non meno degno di esser detto da gli altri che da lui; perchÈ, sicome lui crede, che da questo principio mal inteso gli aversarii sono trascorsi in grandi errori, cossÏ, a l'apposito, noi credemo e veggiamo aperto, che dal contrario di questo principio lui ha pervertita tutta la considerazion naturale.
 \ ELP.\ Soggionge: "Bisogna dunque, che veggiamo, se Ë possibile, che sia corpo semplice di grandezza infinita; il che primeramente deve esser mostrato impossibile in quel primo corpo, che si muove circularmente; appresso, negli altri corpi; perchÈ, essendo ogni corpo o semplice o composto, questo, che Ë composto, siegue la disposizion di quello che Ë semplice. Se, dunque, gli corpi semplici non sono infiniti nÈ di numero nÈ di grandezza, necessariamente non potr‡ esser tale corpo composto".
 \ FIL.\ Promette molto bene; perchÈ, se lui provar‡, che il corpo il quale Ë chiamato continente e primo, sia continente, primo e finito, sar‡ anco soverchio e vano di provarlo appresso di corpi contenuti.
 \ ELP.\ Or prova che il corpo rotondo non Ë infinito. "Se il corpo rotondo Ë infinito, le linee, che si partono dal mezzo, saranno infinite, e la distanza d'un semidiametro da l'altro (gli quali, quanto pi˘ si discostano dal centro, tanto maggior distanza acquistano) sar‡ infinita; perchÈ dalla addizione delle linee secondo la longitudine Ë necessario che siegua maggior distanza; e perÚ, se le linee sono infinite, la distanza ancora sar‡ infinita. Or Ë cosa impossibile, che il mobile possa trascorrere distanza infinita: e nel moto circolare Ë bisogno, che una linea semidiametrale del mobile venga al luogo dell'altro ed altro semidiametro".
 \ FIL.\ Questa raggione Ë buona, ma non Ë a proposito contra l'intenzione de gli aversarii. PerchÈ giamai s'Ë ritrovato sÏ rozzo e d'ingegno sÏ grosso, che abbia posto il mondo.infinito e magnitudine infinita, e quella mobile. E mostra lui medesimo essersi dismenticato di quel che riferisce nella sua Fisica: che quei che hanno posto uno ente ed uno principio infinito, hanno posto similmente inmobile; e nÈ lui ancora, nÈ altro per lui, potr‡ nominar mai alcun filosofo o pur uomo ordinario che abbia detto magnitudine infinita mobile. Ma costui, come sofista, prende una parte della sua argumentazione dalla conclusione dell'aversario, supponendo il proprio principio, che l'universo Ë mobile, anzi che si muove, e che Ë di figura sferica. Or vedete, se de quante raggioni produce questo mendico, se ne ritrove pur una che argumente contra l'intenzione di quei, che dicono uno infinito, inmobile, infigurato, spaciosissimo continente de innumerabili mobili, che son gli mondi, che son chiamati astri da altri, e da altri sfere; vedete un poco in questa ed altre raggioni, se mena presuppositi conceduti da alcuno.
 \ ELP.\ Certo, tutte le sei raggioni sono fondate sopra quel presupposito, cioË che l'aversario dica, che l'universo sia infinito, e che gli admetta, che quello infinito sia mobile: il che certo Ë una sciocchezza, anzi una irrazionalit‡, se pur per sorte non vogliamo far concorrere in uno l'infinito moto e l'infinita quiete, come mi verificaste ieri in proposito di mondi particolari.
 \ FIL.\ Questo non voglio dire in proposito de l'universo, al quale, per raggion veruna, gli deve essere attribuito il moto; perchÈ questo non puÚ, nÈ deve convenire, nÈ richiedersi a l'infinito; e giamai, come Ë detto, si trovÚ chi lo imaginasse. Ma questo filosofo, come quello che avea caristia di terreno, edifica tai castelli in aria.
 \ ELP.\ Certo, desiderarei un argumento, che impugnasse questo che dite; perchÈ cinque altre raggioni, che apporta questo filosofo, tutte fanno il medesimo camino, e vanno con gli medesimi piedi. PerÚ mi par cosa soverchia di apportarle. Or, dopo che ebbe prodotte queste, che versano circa il moto mondano e circolare, procede a proponer quelle, che son fondate sopra il moto retto; e dice parimente "essere impossibile, che qualche cosa sia mobile di infinito moto verso il mezzo, o al basso, oltre verso ad alto dal mezzo"; ed il prova prima dal canto di moti proprii di tai corpi, e questo sÏ quanto a gli corpi estremi, sÏ quanto agli tramezzanti. "Il moto ad alto", dice egli, "ed il moto al basso son contrarii: ed il luogo de l'un moto Ë contrario al luogo de l'altro moto. De gli contrarii ancora, se l'uno Ë determinato, bisogna che sia determinato ancor l'altro; ed il tramezzante, che Ë partecipe de l'uno e l'altro determinato, convien che sia tale ancor lui; perchÈ non da qualsivoglia, ma da certa parte bisogna che si parta quello che deve passar oltre il mezzo, perchÈ Ë un certo termine, onde cominciano, ed Ë un altro termine, ove si finisceno i limiti del mezzo. Essendo dunque determinato il mezzo, bisogna che sieno determinati gli estremi; e se gli estremi son determinati, bisogna che sia determinato il mezzo; e se gli luoghi son determinati, bisogna che gli corpi collocati sieno tali ancora, perchÈ altrimente il moto sar‡ infinito. Oltre, quanto alla gravit‡ e levit‡, il corpo, che va verso alto, puÚ devenire a questo, che sia in tal luogo: perchÈ nessuna inclinazion naturale Ë in vano. Dunque, non essendo spacio del mondo infinito, non Ë luogo, nÈ corpo infinito. Quanto al peso ancora, non Ë grave e leve infinito; dunque, non Ë corpo infinito: come Ë necessario, che, se il corpo grave Ë infinito, la sua gravit‡ sia infinita. E questo non si puÚ fuggire; perchÈ, se tu volessi dire, che il corpo infinito ha gravit‡ infinita, seguitarebono tre inconvenienti. Primo, che medesima sarebe la gravit‡ o levit‡ di corpo finito ed infinito; perchÈ al corpo finito grave, per quanto Ë sopraavanzato dal corpo infinito, io farrÚ addizione e suttrazione di altro ed altro tanto, fin che possa aggiungere a quella medesima quantit‡ di gravit‡ e levit‡. Secondo, che la gravit‡ della grandezza finita potrebe esser maggiore che quella de l'infinita; perchÈ con tal raggione, per la quale gli puÚ essere equale, gli puÚ ancora essere superiore, con aggiungere quanto ti piace pi˘ di corpo grave, o suttrarre di questo, o pur aggiongere di corpo lieve. Terzo, che la gravit‡ della grandezza finita ed infinita sarebbe equale; e perchÈ quella proporzione, che ha la gravit‡ alla gravit‡, la medesima ha la velocit‡ alla velocit‡, seguitarebe similmente, che la medesima velocit‡ e tardit‡ si potrebero trovare in corpo finito ed infinito. Quarto, che la velocit‡ del corpo finito potrebe esser maggiore di quella de l'infinito. Quinto, che potrebe essere equale; o pur, sicome il grave eccede il grave, cossÏ la velocit‡ excede la velocit‡: trovandosi gravit‡ infinita, sar‡ necessario che si muova per alcun spacio in manco tempo, che la gravit‡ finita; o vero non si muova, perchÈ la velocit‡ e tardit‡ sÈguita la grandezza del corpo. Onde, non essendo proporzione tra il finito ed infinito, bisognar‡ al fine, che il grave infinito non si muova; perchÈ, s'egli si muove, non si muove tanto velocemente, che non si trove gravit‡ finita, che nel medesimo tempo, per il medesimo spacio, faccia il medesimo progresso".
 \ FIL.\ » impossibile di trovare un altro che, sotto titolo di filosofo, fengesse pi˘ vane supposizioni e si fabricasse sÏ stolte posizioni al contrario, per dar luogo a tanta levit‡ quanta si vede nelle raggioni di costui. Or, per quanto appartiene a quel che dice de' luoghi proprii di corpi e del determinato alto, basso ed infra, vorei sapere contra qual posizione argumente costui. PerchÈ tutti quelli che poneno corpo e grandezza infinita, non poneno mezzo nÈ estremo in quella. PerchÈ chi dice l'inane, il vacuo, l'etere infinito, non gli attribuisce gravit‡, nÈ levit‡, nÈ moto, nÈ regione superiore, nÈ inferiore, nÈ mezzana; e ponendo poi quelli in cotal spacio infiniti corpi, come Ë questa terra, quella e quell'altra terra, questo sole, quello e quell'altro sole, tutti fanno gli lor circuiti dentro questo spacio infinito per spacii finiti e determinati o pur circa gli proprii centri. CossÏ noi che siamo in terra, diciamo la terra essere al mezzo, e tutti gli filosofi moderni ed antichi, sieno di qualsivoglia setta, diranno questa essere in mezzo senza pregiudicare a' suoi principii; come noi diciamo al riguardo dell'orizonte magiore di questa eterea regione che ne sta in circa, terminata da quello equidistante circolo, al riguardo di cui noi siamo come al centro. Come niente manco coloro che sono nella luna, s'intendeno aver circa questa terra, il sole ed altre ed altre stelle, che sono circa il mezzo ed il termine de gli proprii semidiametri del proprio orizonte; cossÏ non Ë pi˘ centro la terra che qualsivoglia altro corpo mondano, e non son pi˘ certi determinati poli alla terra che la terra sia un certo e determinato polo a qualch'altro punto dell'etere e spacio mondano; e similmente de tutti gli altri corpi; li quali medesimi, per diversi riguardi, tutti sono e centri e punti di circunferenza e poli e zenithi ed altre differenze. La terra, dunque, non Ë absolutamente in mezzo de l'universo, ma al riguardo di questa nostra reggione.
 Procede, dunque, questo disputante con petizione di principio e presupposizione di quello che deve provare. Prende, dico, per principio l'equivalente all'opposito della contraria posizione; presupponendo mezzo ed estremo contra quelli che, dicendo il mondo infinito, insieme insieme negano questo estremo e mezzo necessariamente e per consequenza il moto ad alto e supremo luogo, ed al basso ed infimo. Vederno dunque gli antichi, e veggiamo ancor noi, che qualche cosa viene alla terra ove siamo, e qualche cosa par che si parta della terra o pur dal luogo dove siamo. Dove, se diciamo e vogliam dir che il moto di tal cose Ë ad alto ed al basso, se intende in certa regione, in certi rispetti; di sorte che, se qualche cosa, allontanandosi da noi, procede verso la luna, come noi diciamo che quella ascende, color che sono nella luna nostri anticefi, diranno che descende. Que' moti, dunque, che sono nell'universo, non hanno differenza alcuna di su, di gi˘, di qua, di l‡ al rispetto dell'infinito universo, ma di finiti mondi che sono in quello, o presi secondo le amplitudini di innumerabili orizonti mondani o secondo il numero di innumerabili astri; dove ancora la medesima cosa, secondo il medesimo moto, al riguardo de diversi, si dice andar da alto e da basso. Determinati corpi, dunque, non hanno moto infinito, ma finito e determinato circa gli proprii termini. Ma de l'indeterminato ed infinito non Ë finito nÈ infinito moto, e non Ë differenza di loco nÈ di tempo.
 Quanto poi all'argomento che fa dalla gravit‡ e levit‡, diciamo che questo Ë un de' pi˘ bei frutti che potesse produrre l'arbore della stolida ignoranza. PerchÈ gravit‡, come dimostraremo nel luogo di questa considerazione, non si trova in corpo alcuno intiero e naturalmente disposto e collocato; e perÚ non sono differenze che denno distinguere la natura di luoghi e raggion di moto. Oltre che mostraremo, che grave e lieve viene ad esser detta medesima cosa secondo il medesimo appulso e moto al riguardo di diversi mezzi; come anco al rispetto di diversi, medesima cosa se dice essere alta e bassa, muoversi su e gi˘. E questo dico quanto a gli corpi particulari e mondi particulari; de quali nessuno Ë grave o lieve: e ne gli quali le parti, allontanandosi e diffondendosi da quelli, si chiamano lievi; e ritornando a gli medesimi, si chiamano gravi; come le particole de la terra o di cose terrestri verso la circonferenza de l'etere se dicono salire, e verso il suo tutto se dicono descendere. Ma quanto all'universo e corpo infinito, chi si ritrovÚ giamai che dicesse grave o lieve? o pur chi puose tai principii e delirÚ talmente che per conseguenza possa inferirse dal suo dire, che l'infinito sia grave o lieve? debbia ascendere, montare o poggiare? Noi mostraremo come de infiniti corpi che sono, nessuno Ë grave, nÈ lieve. PerchÈ queste qualitadi accadeno alle parti per quanto tendeno al suo tutto e luogo della sua conservazione, e perÚ non hanno riguardo all'universo, ma agli proprii mondi continenti ed intieri; come ne la terra, volendo le parti del fuoco liberarsi e poggiar verso il sole, menano sempre seco qualche porzione de l'arida e de l'acqua a cui son congionte; le quali, essendono moltiplicate sopra o in alto, cossÏ con proprio e naturalissimo appulso ritornano al suo luogo. Oltre e per conseguenza rinforzate, che gli gran corpi sieno gravi o lievi non Ë possibile, essendo l'universo infinito; e per tanto non hanno raggione di lontananza o propinquit‡ dalla o alla circonferenza o centro; indi non Ë pi˘ grave la terra nel suo luogo, che il sole nel suo, Saturno nel suo, la tramontana nel suo. Potremo perÚ dire che, come sono le parti della terra che ritornano alla terra per la loro gravit‡, - chÈ cossÏ vogliamo dire l'appulso de le parti al tutto, e del peregrino al proprio loco, - cossÏ sono le parti de li altri corpi, come possono esser infinite altre terre o di simile condizione, infiniti altri soli o fuochi o di simile natura. Tutti si moveno dalli luoghi circonferenziali al proprio continente, come al mezzo: onde seguitarebe che sieno infiniti corpi gravi secondo il numero. Non perÚ verr‡ ad essere gravit‡ infinita, come in un soggetto ed intensivamente, ma come in innumerabili soggetti ed estensivamente. E questo Ë quello che sÈguita dal dire di tutti gli antichi e nostro; e contra questo non ebbe argumento alcuno questo disputante. Quel, dunque, che lui dice dell'impossibilit‡ dell'infinito grave, Ë tanto vero ed aperto che Ë vergogna a farne menzione; ed in modo alcuno non appartiene a destruggere l'altrui e confirmar la propria filosofia; ma son propositi tutti e paroli gittati al vento.
 \ ELP.\ La vanit‡ di costui nelle predette raggioni Ë pi˘ che manifesta, di sorte che non bastarebbe tutta l'arte persuasiva di escusarla. Or udite le raggioni che soggionge per conchiudere universalmente che non sia corpo infinito. "Or", dice lui, "essendo manifesto a quelli che rimirano alle cose particolari, che non Ë corpo infinito, resta di vedere al generale, se sia questo possibile. PerchÈ potrebe alcuno dire che, sicome il mondo Ë cossÏ disposto circa di noi, cossÏ non sia impossibile che sieno altri pi˘ cieli. Ma, prima che vengamo a questo, raggioniamo generalmente dell'infinito. » dunque necessario, che ogni corpo o sia infinito; e questo o sia tutto di parte similari, o di parte dissimilari; e queste o costano di specie finite, o pur di specie infinite. Non Ë possibile, che coste de infinite specie, se vogliamo presupponere quel ch'abbiamo detto, cioË che sieno pi˘ mondi simili a questo; perchÈ, sicome Ë disposto questo mondo circa noi, cossÏ sia disposto circa altri, e sieno altri cieli. PerchÈ, se son determinati gli primi moti, che sono circa il mezzo, bisogna che sieno determinati li moti secondi; e per tanto, come gi‡ distinguemo cinque sorte di corpi, de quali dui son semplicemente gravi o lievi, e dui mediocremente gravi o lievi, ed uno nÈ grave, nÈ lieve, ma agile circa il centro, cossÏ deve essere ne gli altri mondi. Non Ë dunque possibile, che coste d'infinite specie. Non Ë ancora possibile che coste di specie finite". E primieramente prova, che non costa di specie finite dissimilari, per quattro raggioni, de quali la prima Ë, che "ciascuna di queste parti infinite sar‡ acqua o fuoco, e per consequenza cosa grave o lieve. E questo Ë stato dimostrato impossibile, quando si Ë visto, che non Ë gravit‡, nÈ levit‡ infinita".
 \ FIL.\ Noi abbiamo assai detto, quando rispondevamo a quello.
\ ELP.\ Io lo so. Soggionge la seconda raggione, dicendo, che "bisogna che di queste specie ciascuna sia infinita, e per consequenza il luoco di ciascuna deve essere infinito: onde seguitar‡ che il moto di ciascuna sia infinito; il che Ë impossibile. PerchÈ non puÚ essere, che un corpo che va gi˘, corra per infinito al basso; il che Ë manifesto da quel che si trova in tutt'i moti e trasmutazioni. Come nella generazione non si cerca di fare quel che non puÚ esser fatto, cossÏ nel moto locale non si cerca il luogo, ove non si possa giunger mai; e quello che non Ë possibile che sia in Egitto, Ë impossibile che si muova in verso Egitto; perchÈ la natura nessuna cosa opra in vano. Impossibile Ë, dunque, che cosa si muova verso l‡ dove non puÚ pervenire".
 \ FIL.\ A questo si Ë risposto assai; e diciamo che son terre infinite, son soli infiniti, Ë etere infinito; o secondo il dir di Democrito ed Epicuro, Ë pieno e vacuo infinito; l'uno insito ne l'altro. E son diverse specie finite, le une comprese da le altre, e le une ordinate a le altre. Le quali specie diverse tutte se hanno come concorrenti a fare un intiero universo infinito, e come ancora infinite parti de l'infinito, in quanto che da infinite terre simili a questa proviene in atto terra infinita, non come un solo continuo, ma come un compreso dalla innumerabile moltitudine di quelle. Similmente se intende de le altre specie di corpi, sieno quattro o sieno due o sieno tre o quante si voglia (non determino al presente); le quali, come che sono parte (in modo che si possono dir parte) de l'infinito, bisogna che sieno infinite, secondo la mole che resulta da tal moltitudine. Or qui non bisogna che il grave vada in infinito al basso. Ma come questo grave va al suo prossimo e connatural corpo, cossÏ quello al suo, quell'altro al suo. Ha questa terra le parti che appartengono a lei; ha quella terra le parti sue appartenenti a sÈ. CossÏ ha quel sole le sue parti che si diffondeno da lui e cercano di ritornare a lui; ed altri corpi similmente riaccoglieno naturalmente le sue parti. Onde, sÏ come le margini e le distanze de gli uni corpi a gli altri corpi son finite, cossÏ gli moti son finiti; e sicome nessuno si parte da Grecia per andare in infinito, ma per andar in Italia o in Egitto, cossÏ, quando parte di terra o di sole si move, non si propone infinito, ma finito e termine. Tutta volta, essendo l'universo infinito e gli corpi suoi tutti trasmutabili, tutti per conseguenza diffondeno sempre da sÈ e sempre in sÈ accoglieno, mandano del proprio fuora e accogliono dentro del peregrino. Non stimo che sia cosa assorda ed inconveniente, anzi convenientissima e naturale, che sieno transmutazion finite possibili ad accadere ad un soggetto; e perÚ de particole de la terra vagar l'eterea regione e occorrere per l'inmenso spacio ora ad un corpo ora ad un altro, non meno che veggiamo le medesime particole cangiarsi di luogo, di disposizione e di forma, essendono ancora appresso di noi. Onde questa terra, se Ë eterna ed Ë perpetua, non Ë tale per la consistenza di sue medesime parti e di medesimi suoi individui, ma per la vicissitudine de altri che diffonde, ed altri che gli succedeno in luogo di quelli; in modo che, di medesima anima ed intelligenza, il corpo sempre si va a parte a parte cangiando e rinovando. Come appare anco ne gli animali, li quali non si continuano altrimente se non con gli nutrimenti che riceveno, ed escrementi che sempre mandano; onde chi ben considera sapr‡ che giovani non abbiamo la medesima carne che avevamo fanciulli, e vecchi non abbiamo quella medesima che quando eravamo giovani; perchÈ siamo in continua trasmutazione, la qual porta seco che in noi continuamente influiscano nuovi atomi e da noi se dipartano li gi‡ altre volte accolti. Come circa il sperma, giongendosi atomi ad atomi per la virt˘ dell'intelletto generale ed anima (mediante la fabrica in cui, come materia, concorreno), se viene a formare e crescere il corpo, quando l'influsso de gli atomi Ë maggior che l'efflusso, e poi il medesimo corpo Ë in certa consistenza quando l'efflusso Ë equale a l'influsso, ed al fine va in declinazione, essendo l'efflusso maggior che l'influsso. Non dico l'efflusso ed influsso assolutamente, ma l'efflusso del conveniente e natio e l'influsso del peregrino e sconveniente; il quale non puÚ esser vinto dal debilitato principio per l'efflusso; il quale Ë pur continuo del vitale come del non vitale. Per venir, dunque, al punto, dico che per cotal vicissitudine non Ë inconveniente, ma raggionevolissimo dire, che le parti ed atomi abbiano corso e moto infinito per le infinite vicissitudini e transmutazioni tanto di forme quanto di luoghi. Inconveniente sarebbe se, come a prosimo termine prescritto di transmutazion locale, over di alterazione, si trovasse cosa che tendesse in infinito. Il che non puÚ essere, atteso che, non sÏ tosto una cosa Ë mossa da uno che si trove in un altro luogo, Ë spogliata di una che non sia investita di un'altra disposizione, e lasciato uno che non abbia preso un altro essere; il quale necessariamente sÈguita dalla alterazione; la quale necessariamente sÈguita dalla mutazion locale. Tanto che il soggetto prossimo e formato non puÚ muoversi se non finitamente, perchÈ facilmente accoglie un'altra forma se muta loco. Il soggetto primo e formabile se muove infinitamente, e secondo il spacio e secondo il numero delle figurazioni; mentre le parti della materia s'intrudeno ed extrudeno da questo in quello e in quell'altro loco, parte e tutto.
 \ ELP.\ Io intendo molto bene. Soggionge per terza raggione, che, "se si dicesse l'infinito discreto e disgionto, onde debbano essere individui e particolari fuochi infiniti, e ciascun di quelli poi essere finito, nientemanco accader‡, che quel fuoco, che resulta da tutti gl'individui, debba essere infinito".
 \ FIL.\ Questo ho gi‡ conceduto; e per sapersi questo, lui non dovea forzarsi contra di ciÚ da che non sÈguita inconveniente alcuno. PerchÈ, se il corpo vien disgiunto o diviso in parte localmente distinte, de le quali l'una pondere cento, l'altra mille, l'altra diece, seguitar‡ che il tutto pondere mille cento e diece. Ma ciÚ sar‡ secondo pi˘ pesi discreti, e non secondo un peso continuo. Or noi e gli antichi non abbiamo per inconveniente che in parti discrete se ritrove peso infinito; perchÈ da quelle resulta un peso logicamente, o pur aritmetrica o geometricamente, che vera e naturalmente non fanno un peso, come non fanno una mole infinita, ma fanno infinite mole e pesi finiti. Il che dire, imaginare ed essere, non Ë il medesimo, ma molto diverso. PerchÈ da questo non sÈguita che sia un corpo infinito di una specie, ma una specie di corpo in infiniti finiti; nÈ Ë perÚ un pondo infinito, infiniti pondi finiti, atteso che questa infinitudine non Ë come di continuo, ma come di discreti; li quali sono in un continuo infinito, che Ë il spacio, il loco e dimensione capace di quelli tutti. Non Ë dunque inconveniente che sieno infiniti discreti gravi, quali non fanno un grave; come infinite acqui le quali non fanno un'acqua infinita, infinite parti di terra che non fanno una terra infinita: di sorte che sono infiniti corpi in moltitudine, li quali fisicamente non componeno un corpo infinito di grandezza. E questo fa grandissima differenza; come proporzionalmente si vede nel tratto della nave, la quale viene tratta da diece uniti, e non sar‡ mai tirata da migliaia de migliaia disuniti e per ciascuno.
 \ ELP.\ Con questo ed altro dire mille volte avete risoluto lo che pone per quarta ragione; la qual dice che, "se s'intende corpo infinito, Ë necessario che sia inteso infinito secondo tutte le dimensioni; onde da nessuna parte puÚ essere qualche cosa extra di quello: dunque non Ë possibile che in corpo infinito sieno pi˘ dissimili, de quali ciascuno sia infinito".
 \ FIL.\ Tutto questo Ë vero e non contradice a noi, che abbiamo tante volte detto che sono pi˘ dissimili finiti in uno infinito, ed abbiamo considerato come questo sia. Forse proporzionalmente, come se alcun dicesse esser pi˘ continui insieme, come per essempio e similitudine in un liquido luto, dove sempre ed in ogni parte l'acqua Ë continuata a l'acqua, e la terra a la terra; dove, per la insensibilit‡ del concorso de le minime parti di terra e minime parti d'acqua, non si diranno discreti nÈ pi˘ continui, ma uno continuo, il quale non Ë acqua, non Ë terra, ma Ë luta. Dove indifferentemente ad un altro puÚ piacere di dire, che non propriamente l'acqua Ë continuata a l'acqua, e la terra a la terra, ma l'acqua a la terra, e la terra a l'acqua; e puÚ similmente venire un terzo, che, negando l'uno e l'altro modo di dire, dica il luto esser continuato al luto. E secondo queste raggioni puÚ esser preso l'universo infinito come un continuo, nel quale non faccia pi˘ discrezione l'etere interposto tra sÏ gran corpi, che far possa nella luta quello aria che Ë traposto ed interposto tra le parti de l'acqua e de l'arida, essendo differenza solo per la pocagine de le parti, e minorit‡ ed insensibilit‡ che Ë nella luta, e la grandezza, maggiorit‡ e sensibilit‡ delle parti che sono nell'universo: sÏ che gli contrarii e gli diversi mobili concorreno nella constituzione di uno continuo immobile, nel quale gli contrarii concorreno alla constituzion d'uno, ed appartengono ad uno ordine, e finalmente sono uno. Inconveniente certo ed impossibile sarrebe ponere dui infiniti distinti l'uno da l'altro; atteso non sarebe modo de imaginare come, dove finisce l'uno, cominci l'altro, onde ambi doi venessero ad aver termine l'uno per l'altro. Ed Ë oltre difficilissimo trovar dui corpi finiti in uno estremo, ed infiniti ne l'altro.
 \ ELP.\ Pone due altre raggioni, per provar che non sia infinito di simili parte. "La prima Ë, perchÈ bisognarebe, che a quello convenesse una di queste specie di moto locale; e perÚ o sarebe una gravit‡, o levit‡ infinita, overo una circulazione infinita; il che tutto, quanto sia impossibile, abbiamo demostrato".
 \ FIL.\ E noi ancora abbiamo chiarito quanto questi discorsi e raggioni sieno vani; e che l'infinito in tutto non si muove, e che non Ë grave nÈ lieve, tanto esso quanto ogni altro corpo nel suo luogo naturale: nÈ pure le parti separate, quando saranno allontanate oltre certi gradi dal proprio loco. Il corpo dunque infinito, secondo noi, non Ë mobile, nÈ in potenza nÈ in atto; e non Ë grave nÈ lieve in potenza nÈ in atto; tanto manca ch'aver possa gravit‡ o levit‡ infinita secondo gli principii nostri e di altri contra gli quali costui edifica sÏ belle castella.
 \ ELP.\ La seconda raggione per questo Ë similmente vana; perchÈ vanamente dimanda, "se si muove l'infinito naturale o violentemente", a chi mai disse che lo si mova, tanto in potenzia quanto in atto. Appresso prova che non sia corpo infinito per le raggioni tolte dal moto in generale; dopo che ha proceduto per raggion tolta dal moto in comune. Dice dunque, che il corpo infinito non puÚ aver azione nel corpo finito, nÈ tampoco patir da quello; ed apporta tre proposizioni. Prima che "l'infinito non patisce dal finito"; perchÈ ogni moto, e per conseguenza ogni passione, Ë in tempo; e se Ë cossÏ, potr‡ avenire che un corpo di minor grandezza potr‡ aver proporzionale passione a quella; perÚ, sicome Ë proporzione del paziente finito all'agente finito, verr‡ ad esser simile del paziente finito allo agente infinito. Questo si vede, si poniamo per corpo infinito A, per corpo finito B; e perchÈ ogni moto Ë in tempo, sia il tempo G, nel qual tempo A o muove o Ë mosso. Prendiamo appresso un corpo di minor grandezza, il quale Ë B; e sia la linea D agente circa un altro corpo (il qual corpo sia H) compitamente, nel medesimo tempo G. Da questo veramente si vedr‡, che sar‡ proporzione di D agente minore a B agente maggiore, sicome Ë proporzione del paziente finito H alla parte finita A, la qual parte sia AZ. Or quando muteremo la proporzione del primo agente al terzo paziente, come Ë proporzione del secondo agente al quarto paziente, cioË sar‡ proporzione di D ad H, come Ë la proporzione di B ad AZ; B veramente, nel medesimo tempo G, sar‡ agente perfetto in cosa finita e cosa infinita, cioË in AZ parte de l'infinito ed A infinito. Questo Ë impossibile; dunque il corpo infinito non puÚ essere agente nÈ paziente, perchÈ doi pazienti equali patiscono equalmente nel medesimo tempo dal medesimo agente, ed il paziente minore patisce dal medesimo agente in tempo minore, il maggiore paziente in maggior tempo. Oltre, quando sono agenti diversi in tempo equale e si complisce la lor azione, verr‡ ad essere proporzione dell'agente all'agente, come Ë proporzione del paziente al paziente. Oltre, ogni agente opra nel paziente in tempo finito (parlo di quello agente, che viene a fine della sua azione, non di quello, di cui il moto Ë continuo, come puÚ esser solo il moto della translazione), perchÈ Ë impossibile che sia azione finita in tempo infinito. Ecco dunque primieramente manifesto, come il finito non puÚ aver azion compita nell'infinito. [...]
 Secondo, si mostra medesimamente, che "l'infinito non puÚ essere agente in cosa finita". Sia l'agente infinito A, ed il paziente finito B, e ponemo, che A infinito Ë agente in B finito, in tempo G. Appresso sia il corpo finito D agente nella parte di B, cioË BZ, in medesimo tempo G. Certamente sar‡ proporzione del paziente BZ a tutto B paziente, come Ë proporzione di D agente all'altro agente finito H; ed essendo mutata proporzione, di D agente a BZ paziente, sicome la proporzione di H agente a tutto B. Per conseguenza B sar‡ mosso da H in medesimo tempo, in cui BZ vien mosso da D, cioË in tempo G, nel qual tempo B Ë mosso da l'infinito agente A; il che Ë impossibile. La quale impossibilit‡ sÈguita da quel ch'abbiamo detto: cioË che, si cosa infinita opra in tempo finito, bisogna che l'azione non sia in tempo, perchÈ tra il finito e l'infinito non Ë proporzione. Dunque, ponendo noi doi agenti diversi, li quali abbiano medesima azione in medesimo paziente, necessariamente l'azion di quello sar‡ in doi tempi diversi, e sar‡ proporzion di tempo a tempo: come di agente ad agente. Ma, se ponemo doi agenti, de quali l'uno Ë infinito, l'altro finito aver medesima azione in un medesimo paziente, sar‡ necessario dire l'un di doi, o che l'azion de l'infinito sia in uno istante, over che l'azione dell'agente finito sia in tempo infinito. L'uno e l'altro Ë impossibile. [...]
 Terzo, si fa manifesto, come il "corpo infinito non puÚ oprare in corpo infinito". PerchÈ, come Ë stato detto nella.Fisica ascoltazione, Ë impossibile che l'azione o passione sia senza compimento. Essendo dunque dimostrato, che mai puÚ esser compita l'azion dell'infinito in uno infinito, si potr‡ conchiudere che tra essi non puÚ essere azione. Poniamo dunque doi infiniti, de quali l'uno sia B, il quale sia paziente da A in tempo finito G, perchÈ l'azion finita necessariamente Ë in tempo finito. Poniamo appresso che la parte del paziente BD patisce da A; certo sar‡ manifesto che la passion di questo viene ad essere in tempo minore che il tempo G; e sia questa parte significata per Z. Sar‡ dunque proporzione del tempo Z al tempo G, sicome Ë proporzione di BD, parte del paziente infinito, alla parte maggiore dell'infinito, cioË a B; e questa parte sia significata per BDH, la quale Ë paziente da A nel tempo infinito G; e nel medesimo tempo gi‡ da quello Ë stato paziente tutto l'infinito B; il che Ë falso, perchÈ Ë impossibile che sieno doi pazienti, de quali l'uno sia infinito e l'altro finito, che patiscano da medesimo agente, per medesima azione, nel medesimo tempo sia pur finito, o, come abbiamo posto, infinito l'efficiente. [...]
 \ FIL.\ Tutto quel che dice Aristotele, voglio che sia ben detto quando sar‡ bene applicato e quando concluder‡ a proposito; ma, come abbiamo detto, non Ë filosofo ch'abbia parlato de l'infinito, dal cui modo di ponere ne possano seguitare cotali inconvenienti. Tuttavia, non per rispondere a quel che dice, perchÈ non Ë contrario a noi, ma solo per contemplare l'importanza de le sue sentenze, essaminiamo il suo modo di raggionare. Prima, dunque, nel suo supponere, procede per non naturali fondamenti, volendo prendere questa e quella parte de l'infinito; essendo che l'infinito non puÚ aver parte; se non vogliamo dir pure che quella parte Ë infinita, essendo che implica contradizione, che ne l'infinito sia parte maggiore e parte minore e parte che abbia maggiore e minore proporzione a quello; essendo che all'infinito non pi˘ ti avicini per il centinaio che per il ternario, perchÈ non meno de infiniti ternarii che d'infiniti centenarii costa il numero infinito. La dimensione infinita non Ë meno de infiniti piedi che de infinite miglia: perÚ, quando vogliamo dir le parti dell'infinita dimensione, non diciamo cento miglia, mille parasanghe; perchÈ queste nientemanco posson esser dette parti del finito, e veramente son parti del finito solamente al cui tutto hanno proporzione, e non possono essere, e non denno esser stimate parti de quello a cui non hanno proporzione. CossÏ mille anni non sono parte dell'eternit‡, perchÈ non hanno proporzione al tutto; ma sÏ bene son parti di qualche misura di tempo, come di diece mille anni, di cento mila secoli.
 \ ELP.\ Or, dunque, fatemi intendere: quali direte che son le parti dell'infinita durazione?
\ FIL.\ Le parti proporzionali della durazione, le quali hanno proporzione nella durazione e tempo, ma non gi‡ l'infinita durazione e tempo infinito; perchÈ in quello il tempo massimo, cioË la grandissima parte proporzionale della durazione, viene ad essere equivalente alla minima, atteso che non son pi˘ gl'infiniti secoli che le infinite ore: dico che ne l'infinita durazione, che Ë l'eternit‡, non sono pi˘ le ore che gli secoli; di sorte che ogni cosa che si dice parte de l'infinito, in quanto che Ë parte de l'infinito, Ë infinita cossÏ nell'infinita durazione come ne l'infinita mole. Da questa dottrina possete considerare quanto sia circonspetto Aristotele nelle sue supposizioni, quando prende le parti finite de lo infinito; e quanta sia la forza delle raggioni di alcuni teologi, quando dalla eternit‡ del tempo vogliono inferir lo inconveniente di tanti infiniti maggiori l'uno de l'altro, quante possono esser specie di numeri. Da questa dottrina, dico, avete modo di estricarvi da innumerabili labirinti.
 \ ELP.\ Particolarmente di quello, che fa al proposito nostro de gl'infiniti passi ed infinite miglia, che verrebono a fare un infinito minore ed un altro infinito maggiore nell'inmensitudine de l'universo. Or seguitate.
 \ FIL.\ Secondo, nel suo inferire non procede demostrativamente Aristotele. PerchÈ da quel, che l'universo Ë infinito e che in esso (non dico di esso, perchÈ altro Ë dir parti nell'infinito, altro dell'infinito) sieno infinite parti, che hanno tutte azione e passione, e per conseguenza trasmutazione intra de loro, vuole inferire o che l'infinito abbia azione o passione nel finito o dal finito, over che l'infinito abbia azione ne l'infinito, e questo patisca e sia trasmutato da quello. Questa illazione diciamo noi che non vale fisicamente, benchÈ logicamente sia vera: atteso che quantunque, computando con la raggione, ritroviamo infinite parti che sono attive, ed infinite che sono passive, e queste sieno prese come un contrario e quelle come un altro contrario; nella natura poi, - per esserno queste parti disgionte e separate, e con particulari termini divise, come veggiamo, - non ne forzano nÈ inclinano a dire, che l'infinito sia agente o paziente, ma che nell'infinito parte finite innumerabili hanno azione e passione. Concedesi dunque, non che l'infinito sia mobile ed alterabile, ma che in esso sieno infiniti mobili ed alterabili; non che il finito patisca da infinito, secondo fisica e naturale infinit‡, ma secondo quella che procede di una logica e razionale aggregazione che tutti gravi computa in un grave, benchÈ tutti gravi non sieno un grave. Stante dunque l'infinito e tutto inmobile, inalterabile, incorrottibile, in quello possono essere, e vi son moti ed alterazioni innumerabili e infiniti, perfetti e compiti. Giongi a quel ch'Ë detto che, dato che sieno doi corpi infiniti da un lato, che da l'altro lato vegnano a terminarsi l'un l'altro, non seguitar‡ da questo quel che Aristotele pensa che necessariamente sÈguita, cioË, che l'azione e passione sarebono infinite; atteso che, se di questi doi corpi l'uno Ë agente in l'altro, non sar‡ agente secondo tutta la sua dimensione e grandezza: perchÈ non Ë vicino, prossimo, gionto e continuato a l'altro secondo tutta quella, e secondo tutte le parti di quella. PerchÈ poniamo caso, che sieno doi infiniti corpi A e B, gli quali sono continuati o congionti insieme nella linea o superficie FG. Certo, non verranno ad oprar l'uno contra l'altro secondo tutta la virt˘; perchÈ non sono propinqui l'uno a l'altro secondo tutte le parti, essendo che la continuazione non possa essere se non in qualche termine finito. E dico di vantaggio che, benchÈ supponiamo quella superficie o linea essere infinita, non seguitar‡ per questo che gli corpi, continuati in quella, caggionino azione e passione infinita; perchÈ non sono intense, ma estense, come le parti sono estense. Onde aviene che in nessuna parte l'infinito opra secondo tutta la sua virt˘, ma estensivamente secondo parte e parte, discreta e separatamente. [...]
 Come per essempio, le parti di doi corpi contrarii, che possono alterarsi, sono le vicine, come A ed 1, B e 2, C e 3, D e 4; e cossÏ discorrendo in infinito. Dove mai potrai verificare azione intensivamente infinita, perchÈ di que' doi corpi le parti non si possono alterare oltre certa e determinata distanza; e perÚ M e 10, N e 20, O e 30, P e 40 non hanno attitudine ad alterarsi. Ecco dunque come, posti doi corpi infiniti, non seguitarebe azione infinita. Dico ancora di vantaggio che, quantunque si suppona e conceda che questi doi corpi infiniti potessero aver azione l'un contra l'altro intensivamente, e secondo tutta la loro virt˘ riferirse l'uno a l'altro, per questo non seguitarebe affetto d'azione nÈ passione alcuna; perchÈ non meno l'uno Ë valente ripugnando e risistendo, che l'altro possa essere impugnando ed insistendo, e perÚ non seguitarrebe alterazione alcuna. Ecco dunque, come da doi infiniti contraposti o sÈguita alterazione finita o sÈguita nulla a fatto.
 \ ELP.\ Or che direte al supposito de l'un corpo contrario finito e l'altro infinito, come se la terra fusse un corpo freddo ed il cielo fusse il fuoco, e tutti gli astri fuochi ed il cielo inmenso e gli astri innumerabili? Volete che per questo sÈguite quel che induce Aristotele, che il finito sarebbe assorbito da l'infinito?
 \ FIL.\ Certo non, come si puÚ rapportar da quel ch'abbiamo detto. PerchÈ, essendo la virt˘ corporale distesa per dimensione di corpo infinito, non verrebe ad essere efficiente contra il finito con vigore e virt˘ infinita, ma con quello che puÚ diffondere dalle parti finite e secondo certa distanza rimosse; atteso che Ë impossibile che opre secondo tutte le parti, ma secondo le prossime solamente. Come si vede nella precedente demostrazione: dove presupponiamo A e B doi corpi infiniti; li quali non sono atti a transmutar l'un l'altro, se non per le parti, che sono della distanza tra 10, 20, 30, 40, ed M, N, O, P; e per tanto nulla importa per far maggior e pi˘ vigorosa azione, quantunque il corpo B corra e cresca in infinito, ed il corpo A rimagna finito. Ecco dunque come da doi contrarii contraposti sempre sÈguita azione finita ed alterazione finita, non meno supponendo di ambidoi infinito l'uno e l'altro finito, che supponendo infinito l'uno e l'altro.
 \ ELP.\ Mi avete molto satisfatto, di sorte che mi par cosa soverchia d'apportar quell'altre raggioni salvaticine con le quali vuol dimostrar che estra il cielo non sia corpo infinito, come quella che dice: "ogni corpo che Ë in loco, Ë sensibile: ma estra il cielo non Ë corpo sensibile; dunque non vi Ë loco". O pur cossÏ: "ogni corpo sensibile Ë in loco; extra il cielo non Ë loco; dunque, non vi Ë corpo. Anzi manco vi Ë extra, perchÈ extra significa differenza di loco e di loco sensibile, e non spirituale ed intelligibile corpo, come alcuno potrebe dire: se Ë sensibile, Ë finito".
 \ FIL.\ Io credo ed intendo che oltre ed oltre quella margine imaginata del cielo sempre sia eterea regione, e corpi mondani, astri, terre, soli; e tutti sensibili absolutamente secondo sÈ ed a quelli che vi sono o dentro o da presso, benchÈ non sieno sensibili a noi per la lor lontananza e distanza. Ed in questo mentre considerate qual fondamento prende costui, che da quel, che non abbiamo corpo sensibile oltre l'imaginata circonferenza, vuole che non sia corpo alcuno: e perÚ lui, si fermÚ a non credere altro corpo, che l'ottava sfera, oltre la quale gli astrologi di suoi tempi non aveano compreso altro cielo. E per ciÚ che la vertigine apparente del mondo circa la terra referirno sempre ad un primo mobile sopra tutti gli altri, puosero fondamenti tali, che senza fine sempre oltre sono andati giongendo sfera a sfera, ed hanno trovate l'altre senza stelle, e per consequenza senza corpi sensibili. In tanto che le astrologice supposizioni e fantasie condannano questa sentenza, viene assai pi˘ condannata da quei che meglio intendeno, qualmente gli corpi che si dicono appartenere all'ottavo cielo, non meno hanno distinzion tra essi di maggiore e minor distanza dalla superficie della terra, che gli altri sette, perchÈ la raggione della loro equidistanza depende solo dal falsissimo supposito della fission de la terra; contra il quale crida tutta la natura, e proclama ogni raggione, e sentenzia ogni regolato e ben informato intelletto al fine. Pur, sia come si vuole, Ë detto, contra ogni raggione, che ivi finisca e si termine l'universo, dove l'attatto del nostro senso si conchiude; perchÈ la sensibilit‡ Ë causa da far inferir che gli corpi sono, ma la negazion di quella, la quale puÚ esser per difetto della potenza sensitiva e non dell'ogetto sensibile, non Ë sufficiente nÈ per lieve suspizione che gli corpi non sieno. PerchÈ, se la verit‡ dependesse da simil sensibilit‡, sarebbono tali gli corpi che appaiono tanto propinqui ed aderenti l'uno all'altro. Ma noi giudichiamo che tal stella par minore nel firmamento, ed Ë detta della quarta e quinta grandezza, che sar‡ molto maggiore di quella che Ë detta della seconda e prima; nel giudizio della quale se inganna il senso, che non Ë potente a conoscere la raggione della distanza maggiore; e noi da questo, che abbiamo conosciuto il moto della terra, sappiamo che quei mondi non hanno tale equidistanza da questo, e che non sono come in uno deferente.
 \ ELP.\ Volete dire, che non sono come impiastrati in una medesima cupola: cosa indegna che gli fanciulli la possono imaginare, che forse crederebono che, se non fussero attaccati alla tribuna e lamina celeste con buona colla, over inchiodati con tenacissimi chiodi, caderebono sopra di noi non altrimente che gli grandini dell'aria vicino. Volete dire che quelle altre tante terre ed altri tanti spaciosissimi corpi tegnono le loro regioni e sue distanze nell'etereo campo, non altrimente che questa terra che con la sua rivoluzione fa apparir che tutti insieme, come concatenati, si svolgano circa lei. Volete dire che non bisogna accettare corpo spirituale extra l'ottava o nona sfera, ma che questo medesimo aere, come Ë circa la terra, la luna, il sole, continente di quelli, cossÏ si va amplificando in infinito alla continenza di altri infiniti astri e grandi animali; e questo aere viene ad essere loco comune ed universale; e che tiene infinito spacioso seno, non altrimente continente in tutto l'universo infinito che in questo spacio sensibile a noi per tante e sÏ numerose lampe. Volete che non sia l'aria e questo corpo continente che si muova circularmente, o che rapisca gli astri, come la terra e la luna ed altri; ma che quelli si muovano dalla propria anima per gli suoi spacii, avendono tutti que' proprii moti, che sono oltre quel mondano, che per il moto della terra appare, ed oltre altri, che appaiono comuni a tutti gli astri, come attaccati ad un mobil corpo, i quali tutti hanno apparenza per le diverse differenze di moto di questo astro in cui siamo, e di cui il moto Ë insensibile a noi. Volete per consequenza, che l'aria e le parti che si prendeno nell'eterea regione, non hanno moto se non di restrizione ed amplificazione, il quale bisogna che sia per il progresso di questi solidi corpi per quello; mentre gli uni s'aggirano circa gli altri, e mentre fa di mestiero che questo spiritual corpo empia il tutto.
 \ FIL.\ Vero. Oltre dico, che questo infinito ed inmenso Ë uno animale, benchÈ non abia determinata figura e senso che si referisca a cose esteriori: perchÈ lui ha tutta l'anima in sÈ, e tutto lo animato comprende, ed Ë tutto quello. Oltre dico non seguitar inconveniente alcuno, come di doi infiniti; perchÈ, il mondo essendo animato corpo, in esso Ë infinita virt˘ motrice ed infinito soggetto di mobilit‡, nel modo che abbiamo detto, discretamente: perchÈ il tutto continuo Ë immobile, tanto di moto circulare, il quale Ë circa il mezzo, quanto di moto retto, che Ë dal mezzo o al mezzo; essendo che non abbia mezzo nÈ estremo. Diciamo oltre, che moto di grave e leve non solo Ë conveniente a l'infinito corpo; ma nÈ manco a corpo intiero e perfetto che sia in quello, nÈ a parte di alcun di questi la quale Ë nel suo loco e gode la sua natural disposizione. E ritorno a dire che nulla Ë grave o lieve assoluta ma rispettivamente: dico al riguardo del loco, verso al quale le parti diffuse e disperse si ritirano e congregano. E questo baste aver considerato oggi, quanto a l'infinita mole de l'universo; e domani vi aspettarÚ per quel che volete intendere quanto a gl'infiniti mondi che sono in quello.
 \ ELP.\ Io, benchÈ per questa dottrina mi creda esser fatto capace di quell'altra, tutta volta, per la speranza di udir altre cose particolari e degne, ritornarÚ.
 \ FRAC.\ Ed io verrÚ ad esser auditore solamente.
\ BUR.\ Ed io; che come, a poco a poco, pi˘ e pi˘ mi vo accostando all'intendervi, cossÏ a mano a mano vegno a stimar verisimile, e forse vero, quel che dite.


Dialogo terzo


 \ FIL.\ Uno dunque Ë il cielo, il spacio immenso, il seno, il continente universale, l'eterea regione per la quale il tutto discorre e si muove. Ivi innumerabili stelle, astri, globi, soli e terre sensibilmente si veggono, ed infiniti raggionevolmente si argumentano. L'universo immenso ed infinito Ë il composto che resulta da tal spacio e tanti compresi corpi.
 \ ELP.\ Tanto che non son sfere di superficie concava e convessa, non sono gli orbi deferenti; ma tutto Ë un campo, tutto Ë un ricetto generale.
 \ FIL.\ CossÏ Ë.
\ ELP.\ Quello dunque che ha fatto imaginar diversi cieli, son stati gli diversi moti astrali, con questo, che si vedeva un cielo colmo di stelle svoltarsi circa la terra, senza che di que' lumi in modo alcuno si vedesse l'uno allontanarsi da l'altro, ma, serbando sempre la medesima distanza e relazione, insieme con certo ordine, si versavano circa la terra non altrimente che una ruota, in cui sono inchiodati specchi innumerabili, si rivolge circa il proprio asse. L‡ onde Ë stimato evidentissimo, come al senso de gli occhi, che a que' luminosi corpi non si conviene moto proprio, come essi discorrer possano, qual ucelli per l'aria; ma per la revoluzion de gli orbi, ne' quali sono affissi, fatta dal divino polso di qualche intelligenza.
 \ FIL.\ CosÏ comunmente si crede; ma questa imaginazione -compreso che sar‡ il moto di questo astro mondano in cui siamo, che, senza essere affisso ad orbe alcuno, per il generale e spacioso campo essagitato dall'intrinseco principio, propria anima e natura, discorre circa il sole e si versa circa il proprio centro - averr‡ che sia tolta: e s'aprir‡ la porta de l'intelligenza de gli principii veri di cose naturali ed a gran passi potremo discorrere per il camino della verit‡. La quale, ascosa sotto il velame di tante sordide e bestiale imaginazioni, sino al presente Ë stata occolta per l'ingiuria del tempo e vicissitudine de le cose dopo che al giorno de gli antichi sapienti succese la caliginosa notte di temerari sofisti.
Non sta, si svolge e gira
Quanto nel ciel e sott'il ciel si mira.
Ogni cosa discorre, or alto or basso,
BenchÈ sie 'n lungo o 'n breve,
O sia grave o sia leve;
E forse tutto va al medesmo passo
Ed al medesmo punto.
Tanto il tutto discorre sin ch'Ë giunto.
Tanto gira sozzopra l'acqua il buglio,
Ch'una medesma parte
Or di su in gi˘ or di gi˘ in su si parte
Ed il medesmo garbuglio
Medesme tutte sorti a tutti imparte.
 \ ELP.\ Certo non Ë dubio alcuno che quella fantasia de gli stelliferi, fiammiferi, de gli assi, de gli deferenti,.del serviggio de gli epicicli e di altre chimere assai, non Ë caggionata da altro principio che da l'imaginarsi, come appare, questa terra essere nel mezzo e centro de l'universo e che, essendo lei sola inmobile e fissa, il tutto vegna a svoltargliesi circa.
 \ FIL.\ Questo medesimo appare a quei, che sono ne la luna e ne gli altri astri che sono in questo medesimo spacio, che sono o terre o soli.
\ ELP.\ Supposto dunque per ora, che la terra con il suo moto caggiona questa apparenza del moto diurno e mondano, e con le diverse differenze di cotal moto caggiona que' tutti che si veggono medesimi convenire a stelle innumerabili, noi rimarremo a dire che la luna (che Ë un'altra terra) si muova da per lei per l'aria circa il sole. Medesimamente Venere, Mercurio e gli altri, che son pure altre terre, fanno i lor discorsi circa il medesimo padre de vita.
 \ FIL.\ CossÏ Ë.
\ ELP.\ Moti proprii di ciascuno son quei che si veggono, oltre questo moto detto mondano, e proprii de le chiamate fisse (de quali l'uno e l'altro si denno referire alla terra); e cotai moti sono di pi˘ che di tante differenze, che quanti son corpi; di sorte che mai si vedranno doi astri convenire in uno e medesimo ordine e misura di moto, se si vedr‡ moto in quelli tutti, quali non mostrano variazione alcuna per la gran distanza che hanno da noi. Quelli quantunque facciano lor giri circa il fuoco solare e circa i proprii centri si convertano per la participazione del vital calore, le differenze de loro approssimarsi e lontanarsi non possono essere da noi comprese.
 \ FIL.\ CossÏ Ë.
\ ELP.\ Sono dunque soli innumerabili, sono terre infinite, che similmente circuiscono quei soli; come veggiamo questi sette circuire questo sole a noi vicino
 \ FIL.\ CossÏ Ë.
\ ELP.\ Come dunque circa altri lumi, che sieno gli soli, non veggiamo discorrere altri lumi, che sieno le terre, ma oltre questi non possiamo comprendere moto alcuno, e tutti gli altri mondani corpi (eccetto ancor quei che son detti comete) si veggono sempre in medesima disposizione e distanza?
 \ FIL.\ La raggione Ë, perchÈ noi veggiamo gli soli, che son gli pi˘ grandi, anzi grandissimi corpi, ma non veggiamo le terre, le quali, per esserno corpi molto minori, sono invisibili; come non Ë contra raggione, che sieno di altre terre ancora che versano circa questo sole, e non sono a noi manifeste o per lontananza maggiore o per quantit‡ minore, o per non aver molta superficie d'acqua, o pur per non aver detta superficie rivolta a noi ed opposta al sole, per la quale, come un cristallino spechio, concependo i luminosi raggi, si rende visibile. L‡ onde non Ë maraviglia, nÈ cosa contro natura, che molte volte udiamo il sole essere alcunamente eclissato, senza che tra lui e la nostra vista si venesse ad interporre la luna. Oltre di visibili possono essere anco innumerabili acquosi lumi (cioË terre, de le quali le acqui son parte) che circuiscano il sole; ma la differenza del loro circuito Ë insensibile per la distanza grande; onde in quel tardissimo moto, che si comprende in quelli che sono visibili sopra o oltre Saturno, non si vede differenza del moto de gli uni e moto de gli altri, nÈ tampoco regola nel moto di tutti circa il mezzo, o poniamo mezzo la terra, o si pona mezzo il sole.
 \ ELP.\ Come volevi dunque, che tutti, quantunque distantissimi dal mezzo, cioË dal sole, potessero raggionevolmente participare il vital calore da quello?
 \ FIL.\ Da questo, che quanto pi˘ sono lontani, fanno tanto maggior circolo; quanto pi˘ gran circolo fanno, tanto pi˘ tardi si muoveno circa il sole; quanto pi˘ si muoveno tardi, tanto pi˘ resisteno a gli caldi ed infocati raggi di quello.
 \ ELP.\ Volevate dunque che que' corpi, benchÈ fussero tanto discosti dal sole, possono perÚ participar tanto calor che baste; perchÈ, voltandosi pi˘ velocemente circa il proprio centro e pi˘ tardi circa il sole, possono non solamente participar altre tanto calore, ma ancor di vantaggio, se bisognasse; atteso che, per il moto pi˘ veloce circa il proprio centro, la medesima parte del convesso de la terra che non fu tanto scaldata, pi˘ presto torni a ristorarsi; per il moto pi˘ tardo circa il mezzo focoso e star pi˘ saldo all'impression di quello, vegna a ricevere pi˘ vigorosi gli fiammiferi raggi?
 \ FIL.\ CossÏ Ë.
\ ELP.\ Dunque volete che, se gli astri che sono oltre Saturno, come appaiono, sono veramente immobili, verranno ad essere gli innumerabili soli o fuochi pi˘ e meno a noi sensibili, circa gli quali discorreno le propinque terre a noi insensibili? .
 \ FIL.\ CossÏ bisognarebbe dire, atteso che tutte le terre son degne di aver la medesima raggione e tutti gli soli la medesima.
 \ ELP.\ Volete per questo che tutti quelli sieno soli?
 \ FIL.\ Non, perchÈ non so se tutti o la maggior parte sieno inmobili, o se di quelli alcuni si gireno circa gli altri, perchÈ non Ë chi l'abbia osservato, ed oltre non Ë facile ad osservare; come non facilmente si vede il moto e progresso di una cosa lontana, la quale a gran tratto non facilmente si vede cangiata di loco, sicome accade nel veder le navi poste in alto mare. Ma, sia come si vuole, essendo l'universo infinito, bisogna al fine che sieno pi˘ soli; perchÈ Ë impossibile che il calore e lume di uno particolare possa diffondersi per l'immenso, come potÈ imaginarsi Epicuro, se Ë vero quel che altri riferiscono. Per tanto si richiede anco, che sieno soli innumerabili ancora, de quali molti sono a noi visibili in specie di picciol corpo; ma tale parr‡ minor astro che sar‡ molto maggior di quello che ne pare massimo.
 \ ELP.\ Tutto questo deve almeno esser giudicato possibile e conveniente.
\ FIL.\ Circa quelli possono versarsi terre di pi˘ grande e pi˘ picciola mole che questa.
 \ ELP.\ Come conoscerÚ la differenza? come, dico, distinguerÚ gli fuochi da le terre?.
\ FIL.\ Da quel, che gli fuochi sono fissi e le terre mobili, da che gli fuochi scintillano e le terre non; de quali segni il secondo Ë pi˘ sensibile che il primo.
 \ ELP.\ Dicono che l'apparenza del scintillare procede dalla distanza da noi.
 \ FIL.\ Se ciÚ fusse, il sole non scintillarebbe pi˘ di tutti, e gli astri minori che son pi˘ lontani, scintillarebono pi˘ che gli maggiori che son pi˘ vicini.
 \ ELP.\ Volete che gli mondi ignei sieno cossÏ abitati come gli aquei?
 \ FIL.\ Niente peggio e niente manco.
\ ELP.\ Ma che animali possono vivere nel fuoco?
\ FIL.\ Non vogliate credere, che quelli sieno corpi de parti similari, perchÈ non sarebono mondi, ma masse vacue, vane e sterili. PerÚ Ë conveniente e naturale ch'abbiano la diversit‡ de le parti, come questa ed altre terre hanno la diversit‡ di proprii membri; benchÈ questi sieno sensibili come acqui illustrate, e quelli come luminose fiamme.
 \ ELP.\ Credete che, quanto alla consistenza e solidit‡, la materia prossima del sole sia pur quella che Ë materia prossima de la terra? (PerchÈ so, che non dubitate essere una la materia primiera del tutto).
 \ FIL.\ CossÏ Ë certo. Lo intese il Timeo, lo confermÚ Platone, tutti veri filosofi l'han conosciuto, pochi l'hanno esplicato, nessuno a' tempi nostri s'Ë ritrovato che l'abbia inteso, anzi molti con mille modi vanno turbando l'intelligenza; il che Ë avenuto per la corrozion de l'abito e difetto di principii.
 \ ELP.\ A questo modo d'intendere se non Ë pervenuta, pur pare che s'accoste la Dotta ignoranza del Cusano, quando, parlando de le condizioni de la terra, dice questa sentenza: "Non dovete stimare che da la oscurit‡ e negro colore possiamo argumentare che il corpo terreno sia vile e pi˘ de gli altri ignobile; perchÈ, se noi fussimo abitatori del sole, non vedremmo cotal chiarezza che in quello veggiamo da questa regione circumferenziale a lui. Oltre ch'al presente, se noi ben bene fissaremo l'occhio in quello, scuopriremo ch'ha verso il suo mezzo quasi una terra, o pur come un umido ed uno nuvoloso corpo che, come da un cerchio circumferenziale, diffonde il chiaro e radiante lume. Onde non meno egli che la terra viene ad esser composto di proprii elementi".
 \ FIL.\ Sin qua dice divinamente; ma seguitate apportando quel che soggionge.
\ ELP.\ Per quel che soggionge, si puÚ dar ad intendere che questa terra sia un altro sole, e che tutti gli astri sieno medesimamente soli. Dice cossÏ: "S'alcuno fusse oltre la region del fuoco, verrebe questa terra ad apparire una lucida stella nella circumferenza della sua regione per mezzo del fuoco; non altrimente che a noi che siamo nella circumferenza della region del sole, appare lucidissimo il sole; e la luna non appare similmente lucida, perchÈ forse circa la circumferenza di quella noi siamo verso le parti pi˘ mezzane, o, come dice lui, centrali, cioË nella region umida ed acquosa di quella; e per tanto, benchÈ abbia il proprio lume, nulla di meno non appare; e solo veggiamo quello che nella superficie aquea vien caggionato dalla reflession del lume solare".
 \ FIL.\ Ha molto conosciuto e visto questo galantuomo ed Ë veramente uno de particularissimi ingegni ch'abbiano spirato sotto questo aria; ma, quanto a l'apprension de la verit‡, ha fatto qual nuotatore da tempestosi flutti ormesso alto or basso; perchÈ non vedea il lume continuo, aperto e chiaro, e non nuotava come in piano e tranquillo ma interrottamente e con certi intervalli. La raggion di questo Ë che lui non avea evacuati tutti gli falsi principii de quali era imbibito dalla commune dottrina onde era partito; di sorte che, forse per industria, gli vien molto a proposito la intitulazion fatta al suo libro Della dotta ignoranza, o Della ignorante dottrina.
 \ ELP.\ Quale Ë quel principio che lui non ha evacuato, e dovea evacuarsi?
\ FIL.\ Che l'elemento del foco sia come l'aria attrito dal moto del cielo e che il foco sia un corpo sottilissimo, contra quella realit‡ e verit‡ che ne si fa manifesta per quel che ad altri propositi e ne gli discorsi proprii consideramo: dove si conchiude esser necessario che sia cossÏ un principio materiale, solido e consistente del caldo come del freddo corpo; e che l'eterea regione non puÚ esser di fuoco nÈ fuoco, ma infocata ed accesa dal vicino solido e spesso corpo, quale Ë il sole. Tanto che, dove naturalmente possiamo parlare, non Ë mestiero di far ricorso alle matematiche fantasie. Veggiamo la terra aver le parti tutte, le quali da per sÈ non sono lucide; veggiamo che alcune possono lucere per altro, come la sua acqua, il suo aria vaporoso, che accoglieno il calore e lume del sole e possono trasfondere l'uno e l'altro alle circostante regioni. Per tanto Ë necessario, che sia un primo corpo al quale convegna insieme essere per sÈ lucido e per sÈ caldo; e tale non puÚ essere, se non Ë constante, spesso e denso; perchÈ il corpo raro e tenue non puÚ essere suggetto di lume nÈ di calore, come altre volte si dimostra da noi al suo proposito. Bisogna dunque al fine che li doi fondamenti de le due contrarie prime qualitadi attive sieno similmente constanti, e che il sole, secondo quelle parti che in lui son lucide e calde, sia come una pietra o un solidissimo infocato metallo; non dirÚ metallo liquabile, quale il piombo, il bronzo, l'oro, l'argento; ma qual metallo illiquabile, non gi‡ ferro che Ë infocato, ma qual ferro che Ë foco istesso; e che, come questo astro in cui siamo, per sÈ Ë freddo ed oscuro, niente partecipe di calore e lume, se non quanto Ë scaldato dal sole, cossÏ quello Ë da per sÈ caldo e luminoso, niente partecipe di freddezza ed opacit‡, se non quanto Ë rinfrescato da circonstanti corpi ed ha in sÈ parti d'acqua, come la terra ha parti di foco. E perÚ, come in questo corpo freddissimo, e primo freddo ed opaco, sono animali che vivono per il caldo e lume del sole, cossÏ in quello caldissimo e lucente son quei che vegetano per la refrigirazione di circostanti freddi: e sicome questo corpo Ë per certa participazione caldo nelle sue parti dissimilari, talmente quello Ë secondo certa participazione freddo nelle sue.
 \ ELP.\ Or che dite del lume?
\ FIL.\ Dico che il sole non luce al sole, la terra non luce a la terra, nessuno corpo luce in sÈ, ma ogni luminoso luce nel spacio circa lui. PerÚ, quantunque la terra sia un corpo luminoso per gli raggi del sole nella superficie cristallina, il suo lume non Ë sensibile a noi, nÈ a color che si trovano in tal superficie, ma a quei che sono all'opposito di quella. Come oltre, dato che tutta la superficie del mare la notte sia illustrata dal splendor de la luna, a quelli perÚ che vanno per il mare, non appare se non in quanto a certo spacio che Ë a l'opposito verso la luna; ai quali se fusse dato di alzarsi pi˘ e pi˘ verso l'aria, sopra il mare, sempre pi˘ e pi˘ gli verrebe a crescere la dimension del lume e vedere pi˘ spacio di luminoso campo. Quindi facilissimamente si puÚ tirare qualmente quei che sono ne gli astri luminosi o pure illuminati, non hanno sensibile il lume del suo astro, ma quello de circostanti; come nel medesimo loco comune un loco particulare prende lume dal differente loco particulare.
 \ ELP.\ Dunque, volete dire ch'a gli animanti solari non fa giorno il sole, ma altra circostante stella?
 \ FIL.\ CossÏ Ë. Non lo capite?
\ ELP.\ Chi non lo capirebbe? Anzi per questo considerare vegno a capir altre cose assai, per conseguenza. Son dunque due sorte di corpi luminosi: ignei, e questi son luminosi primariamente; ed acquei over cristallini, e questi sono secondariamente lucidi.
 \ FIL.\ CossÏ Ë.
 \ ELP.\ Dunque, la raggione del lume non si deve referire ad altro principio?
\ FIL.\ Come puÚ essere altrimente, non conoscendosi da noi altro fondamento di lume? PerchÈ vogliamo appoggiarci a vane fantasie, dove la esperienza istessa ne ammaestra?
\ ELP.\ » vero che non doviamo pensare que' corpi aver lume per certo inconstante accidente, come le putredini di legni, le scaglie e viscose grume di pesci, o qual fragilissimo dorso di nitedole e mosche nottiluche, de la raggione del cui lume altre volte ne raggionaremo.
 \ FIL.\ Come vi parr‡.
\ ELP.\ CossÏ dunque non altrimente s'ingannano quelli che dicono gli circostanti luminosi corpi essere certe quinte essenze, certe divine corporee sustanze di natura al contrario di queste che sono appresso di noi, ed appresso le quali noi siamo; che quei che dicessero il medesimo di una candela o di un cristallo lucente visto da lontano.
 \ FIL.\ Certo.
\ FRAC.\ In vero questo Ë conforme ad ogni senso, raggione ed intelletto.
\ BUR.\ Non gi‡ al mio, che giudica facilmente questo vostro parere una dolce sofisticaria.
\ FIL.\ Rispondi a costui tu, Fracastorio, perchÈ io ed Elpino, che abbiamo discorso molto, vi staremo ad udire.
 \ FRAC.\ Dolce mio Burchio, io per me ti pono in luogo.d'Aristotele, ed io voglio essere in luogo di uno idiota e rustico che confessa saper nulla, presuppone di aver inteso niente, e di quello che dice ed intende il Filoteo, e di quello che intende Aristotele e tutto il mondo ancora. Credo alla moltitudine, credo al nome della fama e maest‡ de l'autorit‡ peripatetica, admiro insieme con una innumerabile moltitudine la divinit‡ di questo demonio de la natura; ma per ciÚ ne vegno a te per essere informato de la verit‡, e liberarmi dalla persuasione di questo che tu chiami sofista. Or vi dimando per qual caggione voi dite essere grandissima o pur grande, o pur quanto e qualsivoglia differenza tra que' corpi celesti e questi che sono appresso di noi?
 \ BUR.\ Quelli son divini, questi sono materialacci.
\ FRAC.\ Come mi farrete vedere e credere che quelli sieno pi˘ divini?
\ BUR.\ PerchÈ quelli sono impassibili, inalterabili, incorrottibili ed eterni, e questi al contrario; quelli mobili di moto circulare e perfettissimo, questi di moto retto.
 \ FRAC.\ Vorrei sapere se, dopo ch'arrete ben considerato, giurareste questo corpo unico (che tu intendi come tre o quattro corpi, e non capisci come membri di medesimo composto) non esser mobile cossÏ come gli altri astri mobili, posto che il moto di quelli non Ë sensibile perchÈ ne siamo oltre certa distanza rimossi, e questo, se Ë, non ne puÚ esser sensibile, perchÈ, come han notato gli antichi e moderni veri contemplatori della natura e come per esperienza ne fa manifesto in mille maniere il senso, non possiamo apprendere il moto se non per certa comparazione e relazione a qualche cosa fissa: perchÈ, tolto uno che non sappia che l'acqua corre e che non vegga le ripe, trovandosi in mezzo l'acqui entro una corrente nave, non arrebe senso del moto di quella. Da questo potrei entrare in dubio ed essere ambiguo di questa quiete e fissione; e posso stimare che, s'io fusse nel sole, nella luna ed altre stelle, sempre mi parrebe essere nel centro del mondo immobile, circa il quale tutto il circostante vegna a svolgersi, svolgendosi perÚ qual corpo continente in cui mi trovo, circa il proprio centro. Ecco come non son certo della differenza di mobile e stabile.
 Quanto a quel che dici del moto retto, certo cossÏ non veggiamo questo corpo muoversi per linea retta, come anco non veggiamo gli altri. La terra, se ella si muove, si muove circularmente, come gli altri astri, qualmente Egesia, Platone e tutti savi dicono, e conceder deve Aristotele ed ogni altro. E della terra quello che noi veggiamo montare e descendere, non Ë tutto il globo, ma certe particelle di quello; le quali non si allontanano oltre quella regione che Ë computata tra le parti e membri di questo globo: nel quale, come in uno animale, Ë lo efflusso ed influsso de parti e certa vicissitudine e certa commutazione e rinovazione. Il che tutto, se medesimamente Ë ne gli altri astri, non si richiede che sia medesimamente sensibile a noi; perchÈ queste elevazioni di vapori ed exalazioni, successi di venti, piogge, nevi, tuonitrui, sterilitadi, fertilitadi, inundazioni, nascere, morire, se sono ne gli altri astri, non possono similmente essere a noi sensibili. Ma solamente quelli sono a noi sensibili per il splendor continuo che dalla superficie di foco, o di acqua, o nuvolosa mandano per il spacio grande. Come parimente questo astro Ë sensibile a quei che sono ne gli altri per il splendor che diffonde dalla faccia di mari (e talvolta dal volto affetto di nuvolosi corpi, per il che nella luna per medesima raggione le parti opache paiono meno opache), la qual faccia non vien cangiata se non per grandissimo intervallo di etadi e secoli, per il corso de quali gli mari si cangiano in continenti e gli continenti in mari. Questo dunque e quei corpi son sensibili per il lume che diffondeno. Il lume che di questa terra si diffonde a gli altri astri, Ë nÈ pi˘ nÈ meno perpetuo ed inalterabile, che quello di astri simili: e cossÏ come il moto retto ed alterazione di quelle particelle Ë insensibile a noi, a loro Ë insensibile ogni altro moto ed alterazione che ritrovar si possa in questo corpo. E sÏ come della luna da questa terra, ch'Ë un'altra luna, appaiono diverse parti altre pi˘ altre men luminose, cossÏ della terra da quella luna, ch'Ë un'altra terra, appaiono diverse parti per la variet‡ e differenza de spacii di sua superficie. E come, se la luna fusse pi˘ lontana, il diametro de le parti opache mancando, andarebono le parti lucide ad unirse e strengersi in una sensibilit‡ di corpo pi˘ picciolo e tutto quanto lucido; similmente apparirebe la terra, se fusse pi˘ lontana dalla luna. Onde possiamo stimare che de stelle innumerabili sono altre tante lune, altre tanti globi terrestri, altre tanti mondi simili a questo; circa gli quali par che questa terra si volte, come quelli appaiono rivolgersi ed aggirarsi circa questa terra. PerchÈ, dunque, vogliamo affirmar essere differenza tra questo e que' corpi, se veggiamo ogni convenienza? perchÈ vogliamo negare esser convenienza, se non Ë raggione nÈ senso che ne induca a dubitar di quella?
 \ BUR.\ CossÏ, dunque, avete per provato che quei corpi non differiscano da questo?
\ FRAC.\ Assai bene, perchÈ ciÚ che di questo puÚ vedersi da l‡, di quelli puÚ vedersi da qua; ciÚ che di quelli puÚ vedersi da qua, di questo si vede da l‡, come dire, corpo picciolo questo e quelli, luminoso in parte da distanza minore questo e quelli, luminoso in tutto da distanza maggiore, e pi˘ picciolo, questo e quelli.
 \ BUR.\ Ove Ë dunque quel bell'ordine, quella bella scala della natura, per cui si ascende dal corpo pi˘ denso e crasso, quale Ë la terra, al men crasso, quale Ë l'acqua, al suttile, quale Ë il vapore, al pi˘ suttile, quale Ë l'aria puro, al suttilissimo, quale Ë il fuoco, al divino, quale Ë il corpo celeste? dall'oscuro al men oscuro, al chiaro, al pi˘ chiaro, al chiarissimo? dal tenebroso al lucidissimo, dall'alterabile e corrottibile al libero d'ogni alterazione e corrozione? dal gravissimo al grave, da questo al lieve, dal lieve al levissimo, indi a quel che non Ë nÈ grave nÈ lieve? dal mobile al mezzo, al mobile dal mezzo, indi al mobile circa il mezzo? ..
 \ FRAC.\ Volete saper ove sia questo ordine? Ove son gli sogni, le fantasie, le chimere, le pazzie. PerchÈ, quanto al moto, tutto quello che naturalmente si muove, ha delazion circulare o circa il proprio o circa l'altrui mezzo; dico circolare, non semplice e geometricamente considerando il circolo e circulazione, ma secondo quella regola che veggiamo fisicamente mutarsi di loco gli corpi naturali. Moto retto non Ë proprio nÈ naturale a corpo alcuno principale; perchÈ non si vede se non nelle parti che sono quasi escrementi che hanno efflusso da corpi mondani, o pur, altronde, hanno influsso alle congenee sfere e continenti. Qualmente veggiamo de l'acqui che, in forma di vapore assottigliate dal caldo, montano in alto; ed in propria forma inspessate dal freddo, ritornano al basso; nel modo che diremo nel proprio loco, quando consideraremo del moto. Quanto alla disposizione di quattro corpi, che dicono terra, acqua, aria, foco, vorei sapere qual natura, qual'arte, qual senso la fa, la verifica, la dimostra.
 \ BUR.\ Dunque, negate la famosa distinzione de gli elementi?
\ FRAC.\ Non nego la distinzione, perchÈ lascio ognuno distinguere come gli piace ne le cose naturali; ma niego questo ordine, questa disposizione: cioË che la terra sia circondata e contenuta da l'acqua, l'acqua da l'aria, l'aria dal foco, il foco dal cielo. PerchÈ dico uno essere il continente e comprensor di tutti corpi e machine grandi che veggiamo come disseminate e sparse in questo amplissimo campo: ove ciascuno di cotai corpi, astri, mondi, eterni lumi Ë composto di ciÚ che si chiama terra, acqua, aria, fuoco. Ed in essi, se ne la sustanza della composizione predomina il fuoco, vien denominato il corpo che si chiama sole e lucido per sÈ; se vi predomina l'acqua, vien denominato il corpo che si chiama tellure, luna, o di simil condizione, che risplende per altro, come Ë stato detto. In questi, dunque, astri o mondi, come le vogliam dire, non altrimente si intendeno ordinate queste parti dissimilari secondo varie e diverse complessioni di pietre, stagni, fiumi, fonti, mari, arene, metalli, caverne, monti, piani ed altre simili specie di corpi composti, de siti e figure, che ne gli animali son le parti dette eterogenee, secondo diverse e varie complessioni di ossa, di intestini, di vene, di arterie, di carne, di nervi, di pulmone, di membri di una e di un'altra figura, presentando gli suoi monti, le sue valli, gli suoi recessi, le sue acqui, gli suoi spiriti, gli suoi fuochi, con accidenti proporzionali a tutte meteoriche impressioni; quai sono gli catarri, le erisipile, gli calculi, le vertigini, le febri ed altre innumerabili disposizioni ed abiti che rispondeno alle nebbie, piogge, nevi, caumi, accensioni, alle saette, tuoni, terremoti e venti, a fervide ed algose tempeste. Se, dunque, altrimente la terra ed altri monti sono animali che questi comunmente stimati, son certo animali con maggior e pi˘ eccellente raggione. PerÚ, come Aristotele o altro potr‡ provare l'aria essere pi˘ circa la terra che entro la terra, se di questa non Ë parte alcuna nella quale quello non abbia luogo e penetrazione, secondo il modo che forse volser dir gli antichi il vacuo per tutto comprendere di fuora e penetrare entro il pieno? Ove possete voi imaginare la terra aver spessitudine, densit‡ e consistenza senza l'acqua ch'accopie ed unisca le parti? Come possete intendere verso il mezzo la terra esser pi˘ grave, senza che crediate, che ivi le sue parti non son pi˘ spesse e dense, la cui spessitudine Ë impossibile senza l'acqua che sola Ë potente ad agglutinare parte a parte? Chi non vede che da per tutto della terra escono isole e monti sopra l'acqua; e non solo sopra l'acqua, ma oltre sopra l'aria vaporoso e tempestoso, rinchiuso tra gli alti monti, e computato tra' membri de la terra, a far un corpo perfettamente sferico; onde Ë aperto che l'acqui non meno son dentro le viscere di quella che gli umori e sangue entro le nostre? . Chi non sa, che nelle profonde caverne e concavitadi de la terra son le congregazioni principali de l'acqua? E se dici che la Ë tumida sopra i lidi, rispondo, che questi non son le parti superiori de la terra, perchÈ tutto ch'Ë intra gli altissimi monti, s'intende nella sua concavit‡. Oltre, che il simile si vede nelle goccie impolverate, pendenti e consistenti sopra il piano: perchÈ l'intima anima, che comprende ed Ë in tutte le cose, per la prima fa questa operazione: che, secondo la capacit‡ del suggetto, unisce quanto puÚ le parti. E non Ë, perchÈ l'acqua sia o possa essere naturalmente sopra o circa la terra, pi˘ che l'umido di nostra sustanza sia sopra o circa il nostro corpo. Lascio che le congregazioni de l'acqui nel mezzo essere pi˘ eminenti si vede da tutti canti de lidi e da tutti luoghi ove si trovano tali congregazioni. E certo, se le parti de l'arida cossÏ potessero da per sÈ unirsi, farrebono il simile, come apertamente vegnono inglobate in sferico quando sono per beneficio de l'acqua agglutinate insieme: perchÈ tutta la unione e spessitudine di parti che si trova nell'aria, procede da l'acqua. Essendono dunque l'acqui entro le viscere de la terra, e non essendo parte alcuna di quella, che ha unione di parti e spessitudine, che non comprenda pi˘ parti de l'acqua che de l'arida (perchÈ dove Ë il spessissimo, ivi massime Ë composizione e domÏno di cotal soggetto, ch'ha virt˘ de le parti coerenti), chi sar‡ che per questo non voglia affirmar pi˘ tosto che l'acqua Ë base de la terra, che la terra de l'acqua? che sopra questa Ë fondata quella, non quella sopra questa? Lascio che l'altitudine de l'acqua sopra la faccia de la terra che noi abitiamo, detta il mare, non puÚ essere e non Ë tanta, che sia degna di compararsi alla mole di questa sfera; e non Ë veramente circa, come gl'insensati credeno, ma dentro quella. Come, forzato dalla verit‡ o pure dalla consuetudine del dire di antichi filosofi, confessÚ Aristotele nel primo della sua Meteora, quando confessÚ che le due regioni infime de l'aria turbulento ed inquieto sono intercette e comprese da gli alti monti, e sono come parti e membri di quella; la quale vien circondata e compresa da aria sempre tranquillo, sereno e chiaro a l'aspetto de le stelle; onde, abbassando gli occhi, si vede l'universit‡ di venti, nubi, nebbie e tempeste, flussi e reflussi che procedeno dalla vita e spiramento di questo grande animale e nume, che chiamiamo Terra, nomorno Cerere, figurorno per Iside, intitulorno Proserpina e Diana, la quale Ë la medesima chiamata Lucina in cielo; intendendo questa non esser di natura differente da quella. Ecco quanto si manca, che questo buon Omero, quando non dorme, dica l'acqua aver natural seggio sopra o circa la terra, dove nÈ venti nÈ piogge nÈ caliginose impressioni si ritrovano. E se maggiormente avesse considerato ed atteso, arrebe visto che anco nel mezzo di questo corpo (se ivi Ë il centro della gravit‡) Ë pi˘ luogo di acqua che di arida: perchÈ le parti della terra non son gravi, senza che molta acqua vegna in composizion con quelle; e senza l'acqua non hanno attitudine da l'appulso e proprio pondo per descender da l'aria a ritrovar la sfera del proprio continente. Dunque, qual regolato senso, qual verit‡ di natura distingue ed ordina queste parti di maniera tale, quale dal cieco e sordido volgo Ë conceputa, approvata da quei che parlano senza considerare, predicata da chi molto dice e poco pensa? Chi creder‡ oltre non esser proposito di veritade (ma s'Ë prodotta da uomo senza autorit‡, cosa da riso; s'Ë riferita da persona stimata e divolgata illustre, cosa da esser referita a misterio o parabola ed interpretata per metafora; s'Ë apportata da uomo, ch'ha pi˘ senso ed intelletto che autorit‡, numerata tra gli occolti paradossi) la sentenza di Platone appresa dal Timeo, da Pitagora ed altri, che dechiara noi abitare nel concavo ed oscuro de la terra, ed aver quella raggione a gli animali, che son sopra la terra, che hanno gli pesci a noi; perchÈ, come questi viveno in un umido pi˘ spesso e crasso del nostro, cossÏ noi viviamo in un pi˘ vaporoso aria che color che son in pi˘ pura e pi˘ tranquilla regione; e sÏ come l'Oceano a l'aria impuro Ë acqua, cossÏ il caliginoso nostro Ë tale a quell'altro veramente puro? da tal senso e dire, lo che voglio inferire, Ë questo: che il mare, i fonti, i fiumi, i monti, le pietre e l'aria in essi contenuto, e compreso in essi sin alla mezzana regione, come la dicono, non sono altro che parti e membri dissimilari d'un medesimo corpo, d'una massa medesima, molto proporzionali alle parti e membri che noi volgarmente conoscemo per composti animali: di cui il termine, convessitudine ed ultima superficie Ë terminata da gli estremi margini de monti ed aria tempestoso; di sorte che l'Oceano e gli fiumi rimagnono nel profondo de la terra non meno che l'epate, stimato fonte del sangue, e le ramificate vene son contenute e distese per li pi˘ particulari.
 \ BUR.\ Dunque, la terra non Ë corpo gravissimo, e perÚ nel mezzo, appresso la quale pi˘ grave e pi˘ vicina Ë l'acqua, che la circonda, la quale Ë pi˘ grave che l'aria?
 \ FRAC.\ Se tu giudichi il grave dalla maggior attitudine di penetrar le parti e farsi al mezzo ed al centro, dirÚ l'aria essere gravissimo e l'aria esser levissimo tra tutti questi chiamati elementi. PerchÈ, sicome ogni parte della terra, se si gli d‡ spacio, descende sino al mezzo, cossÏ le parti de l'aria pi˘ subito correranno al mezzo che parte d'altro qualsivoglia corpo; perchÈ a l'aria tocca essere il primo a succedere al spacio, proibire il vacuo ed empire. Non cossÏ subito succedeno al loco le parti de la terra, le quali per ordinario non si muoveno se non penetrando l'aria; perchÈ a far che l'aria penetre, non si richiede terra nÈ acqua nÈ fuoco; nÈ alcuni di questi lo prevegnono, nÈ vincono, per esser pi˘ pronti, atti ed ispediti ad impir gli angoli del corpo continente. Oltre, se la terra, che Ë corpo solido, si parte, l'aria sar‡ quello che occupar‡ il suo loco: non cossÏ Ë atta la terra ad occupar il loco de l'aria che si parte. Dunque, essendo proprio a l'aria il muoversi a penetrar ogni sito e recesso, non Ë corpo pi˘ lieve de l'aria, non Ë corpo pi˘ greve che l'aria.
 \ BUR.\ Or che dirai de l'acqua?
\ FRAC.\ De l'acqua ho detto, e torno a dire, che quella Ë pi˘ grave che la terra, perchÈ pi˘ potentemente veggiamo l'umor descendere e penetrar l'arida sino al mezzo, che l'arida penetrar l'acqua: ed oltre, l'arida, presa a fatto senza composizion d'acqua, verr‡ a sopranatare a l'acqua ed essere senza attitudine di penetrarvi dentro; e non descende, se prima non Ë imbibita d'acqua e condensata in una massa e spesso corpo, per mezzo della quale spessitudine e densit‡ acquista potenza di farsi dentro e sotto l'acqua. La quale acqua, per l'opposito, non descender‡ mai per merito della terra, ma perchÈ si aggrega, condensa e radoppia il numero de le parti sue per farsi imbibire ed ammassar l'arida: perchÈ veggiamo che pi˘ acqua assai capisce un vase pieno di cenere veramente secca, che un altro vase uguale in cui sia nulla. L'arida dunque, come arida, soprasiede e sopranata a l'acqua.
 \ BUR.\ Dechiaratevi meglio.
\ FRAC.\ Torno a dire che, se dalla terra si rimovesse tutta l'acqua, di sorte che la rimanesse pura arida, bisognarebe necessariamente che il rimanente fusse un corpo inconstante, raro, dissoluto e facile ad esser disperso per l'aria, anzi in forma di corpi innumerabili discontinuati; perchÈ quel che fa uno continuo, Ë l'aria; quello che fa per la coerenzia uno continuo, Ë l'acqua, sia che si voglia del continuato, coerente e solido, che ora Ë l'uno, ora Ë l'altro, ora Ë il composto de l'uno e l'altro. Ove, se la gravit‡ non procede da altro che dalla coerenza e spessitudine de le parti, e quelle della terra non hanno coerenza insieme se non per l'acqua, - di cui le parti, come quelle de l'aria, per sÈ si uniscono e la quale ha pi˘ virt˘ che altro, se non ha virt˘ singulare, a far che le parti de altri corpi s'uniscano insieme, - averr‡ che l'acqua, al riguardo d'altri corpi che per essa dovegnon grevi, e per cui altri acquista l'esser ponderoso, Ë primieramente grave. PerÚ non doveano esser stimati pazzi, ma molto pi˘ savii color che dissero la terra esser fondata sopra l'acqui.
 \ BUR.\ Noi diciamo che nel mezzo si deve sempre intendere la terra, come han conchiuso tanti dottissimi personaggi.
 \ FRAC.\ E confirmano gli pazzi.
 \ BUR.\ Che dite de pazzi?.
\ FRAC.\ Dico questo dire non esser confirmato da senso nÈ da raggione.
\ BUR.\ Non veggiamo gli mari aver flusso e reflusso e gli fiumi far il suo corso sopra la faccia de la terra?
 \ FRAC.\ Non veggiamo gli fonti, che son principio de' fiumi, che fan gli stagni e mari, sortir da le viscere de la terra, e non uscir fuor de le viscere de la terra, se pur avete compreso quel che poco fa ho pi˘ volte detto?
 \ BUR.\ Veggiamo l'acqui prima descender da l'aria che per l'acqui vegnano formati i fonti.
\ FRAC.\ Sappiamo che l'acqua - se pur descende da altro aria che quello ch'Ë parte ed appartenente a' membri de la terra - prima originale, principale, e totalmente Ë nella terra; che appresso derivativa, secondaria e particolarmente sia ne l'aria.
 \ BUR.\ So che stai sopra questo, che la vera extima superficie del convesso della terra non si prende dalla faccia del mare, ma dell'aria uguale a gli altissimi monti.
 \ FRAC.\ CossÏ ave affirmato e confirmato ancora il vostro principe Aristotele.
\ BUR.\ Questo nostro prencipe Ë senza comparazione pi˘ celebrato e degno e seguitato che il vostro, il quale ancora non Ë conosciuto nÈ visto. PerÚ piaccia quantosivoglia a voi il vostro, a me non dispiace il mio.
 \ FRAC.\ BenchÈ vi lasce morir di fame e freddo, vi pasca di vento e mande discalzo ed ignudo.
 \ FIL.\ Di grazia, non vi fermiate su questi propositi disutili e vani.
\ FRAC.\ CossÏ farremo. Che dite dunque, o Burchio, a questo ch'avete udito?
\ BUR.\ Dico che, sia che si vuole, all'ultimo bisogna veder quello ch'Ë in mezzo di questa mole, di questo tuo astro, di questo tuo animale. PerchÈ, se vi Ë la terra pura, il modo con cui costoro hanno ordinati gli elementi, non Ë vano.
 \ FRAC.\ Ho detto e dimostrato, che pi˘ raggionevolmente vi Ë l'aria o l'acqua, che l'arida: la qual pure non vi sar‡ senza esser composta con pi˘ parti d'acqua, che al fine vegnano ad essergli fondamento; perchÈ veggiamo pi˘ potentemente le particelle de l'acqua penetrar la terra, che le particole di questa penetrar quella. E pi˘, dunque, verisimile, anzi necessario, che nelle viscere della terra sia l'acqua, che nelle viscere de l'acqua sia la terra.
 \ BUR.\ Che dici de l'acqua che sopranata e discorre sopra la terra?
\ FRAC.\ Non Ë chi non possa vedere che questo Ë per beneficio ed opra dell'acqua medesima: la quale, avendo inspessata e fissata la terra, constipando le parti di quella, fa che l'acqua oltre non vegna assorbita; la quale altrimente penetrarebe sin al profondo de l'arida sustanza, come veggiamo per isperienza universale. Bisogna, dunque, che in mezzo de la terra sia l'acqua, a fin che quel mezzo abbia fermezza, la qual non deve rapportarsi alla terra prima, ma a l'acqua: perchÈ questa fa unite e congionte le parti di quella, e per consequenza questa pi˘ tosto opra la densit‡ nella terra, che per il contrario la terra sia caggione della coerenza delle parti de l'acqua e faccia dense quelle. Se, dunque, nel mezzo non vuoi che sia composto di terra ed acqua, Ë pi˘ verisimile e conforme ad ogni raggione ed esperienza, che vi sia pi˘ tosto l'acqua che la terra. E se vi Ë corpo spesso, Ë maggiore raggione che in esso predomine l'acqua che l'arida, perchÈ l'acqua Ë quello che fa la spessitudine nelle parti de la terra; la quale per il caldo si dissolve (non cossÏ dico della spessitudine ch'Ë nel foco primo, la quale Ë dissolubile dal suo contrario): che, quanto Ë pi˘ spessa e greve, conosce tanto pi˘ partecipazion d'acqua. Onde le cose che sono appresso noi spessissime, non solamente son stimate aver pi˘ partecipazion d'acqua, ma oltre si trovano esser acqua istessa in sustanza, come appare nella resoluzion di pi˘ grevi e spessi corpi che sono gli liquabili metalli. Ed in vero in ogni corpo solido, che ha parti coerenti, se v'intende l'acqua la qual gionge e copula le parti, cominciando da minimi della natura; di sorte che l'arida, a fatto disciolta da l'acqua, non Ë altro che vaghi e dispersi atomi. PerÚ son pi˘ consistenti le parti de l'acqua senza la terra, perchÈ le parti de l'arida nullamente consisteno senza l'acqua. Se, dunque, il mezzano loco Ë destinato a chi con maggiore appulso e pi˘ velocit‡ vi corre, prima conviene a l'aria il quale empie il tutto, secondo a l'acqua, terzo a la terra. Se si destina al primo grave, al pi˘ denso e spesso, prima conviene a l'acqua, secondo a l'aria, terzo a l'arida. Se prenderemo l'arida gionto all'acqua, prima conviene a la terra, secondo a l'acqua, terzo a l'aria. Tanto che, secondo pi˘ raggioni e diverse, conviene a diversi primieramente il mezzo; secondo la verit‡ e natura, l'uno elemento non Ë senza altro e non Ë membro de la terra, dico di questo grande animale, ove non sieno tutti quattro o almeno tre di essi.
 \ BUR.\ Or venite presto alla conclusione.
\ FRAC.\ Quello che voglio conchiudere Ë questo: che il famoso e volgare ordine de gli elementi e corpi mondani Ë un sogno ed una vanissima fantasia, perchÈ nÈ per natura si verifica, nÈ per raggione si prova ed argumenta, nÈ per convenienza deve, nÈ per potenza puote esser di tal maniera. Resta, dunque, da sapere ch'Ë un infinito campo e spacio continente, il qual comprende e penetra il tutto. In quello sono infiniti corpi simili a questo, de quali l'uno non Ë pi˘ in mezzo de l'universo che l'altro, perchÈ questo Ë infinito, e perÚ senza centro e senza margine; benchÈ queste cose convegnano a ciascuno di questi mondi, che sono in esso con quel modo ch'altre volte ho detto, e particolarmente quando abbiamo dimostrato essere certi, determinati e definiti mezzi, quai sono i soli, i fuochi, circa gli quali discorreno tutti gli pianeti, le terre, le acqui, qualmente veggiamo circa questo a noi vicino marciar questi sette erranti; e come quando abbiamo parimente dimostrato che ciascuno di questi astri o questi mondi, voltandosi circa il proprio centro, caggiona apparenza di un solido e continuo mondo che rapisce tanti quanti si veggono ed essere possono astri, e verse circa lui, come centro dell'universo. Di maniera che non Ë un sol mondo, una sola terra, un solo sole; ma tanti son mondi, quante veggiamo circa di noi lampade luminose, le quali non sono pi˘ nÈ meno in un cielo ed un loco ed un comprendente, che questo mondo, in cui siamo noi, Ë in un comprendente, luogo e cielo. SÏ che il cielo, l'aria infinito, immenso, benchÈ sia parte de l'universo infinito, non Ë perÚ mondo, nÈ parte di mondi; ma seno, ricetto e campo in cui quelli sono, si muoveno, viveno, vegetano e poneno in effetto gli atti de le loro vicissitudini, producono, pascono, ripascono e mantieneno gli loro abitatori ed animali, e con certe disposizioni ed ordini amministrano alla natura superiore, cangiando il volto di uno ente in innumerabili suggetti. SÏ che ciascuno di questi mondi Ë un mezzo, verso il quale ciascuna de le sue parti concorre e ove si puosa ogni cosa congenea; come le parti di questo astro, da certa distanza e da ogni lato e circonstante regione, si rapportano al suo continente. Onde, non avendo parte, che talmente effluisca dal gran corpo che non refluisca di nuovo in quello, aviene che sia eterno, benchÈ sia dissolubile: quantunque la necessit‡ di tale eternit‡ certo sia dall'estrinseco mantenitore e providente, non da l'intrinseca e propria sufficienza, se non m'inganno. Ma di questo con pi˘ particular raggione altre volte vi farÚ intendere.
 \ BUR.\ CossÏ dunque gli altri mondi sono abitati come questo?
\ FRAC.\ Se non cossÏ e se non megliori, niente meno e niente peggio: perchÈ Ë impossibile ch'un razionale ed alquanto svegliato ingegno possa imaginarsi, che sieno privi di simili e megliori abitanti mondi innumerabili, che si mostrano o cossÏ o pi˘ magnifici di questo; i quali o son soli, o a' quali il sole non meno diffonde gli divinissimi e fecondi raggi che non meno argumentano felice il proprio soggetto e fonte, che rendeno fortunati i circostanti partecipi di tal virt˘ diffusa. Son quenque infiniti gl'innumerabili e principali membri de l'universo, di medesimo volto, faccia, prorogativa, virt˘ ed effetto.
 \ BUR.\ Non volete che tra altri ed altri vi sia differenza alcuna?
\ FRAC.\ Avete pi˘ volte udito che quelli son per sÈ lucidi e caldi, nella composizion di quali predomina il fuoco; gli altri risplendeno per altrui participazione, che son per sÈ freddi ed oscuri; nella composizion de quali l'acqua predomina. Dalla qual diversit‡ e contrariet‡ depende l'ordine, la simmetria, la complessione, la pace, la concordia, la composizione, la vita. Di sorte che gli mondi son composti di contrarii; e gli uni contrarii, come le terre, acqui, vivono e vegetano per gli altri contrarii, come gli soli e fuochi. Il che, credo, intese quel sapiente che disse Dio far pace ne gli contrarii sublimi, e quell'altro che intese il tutto essere consistente per lite di concordi ed amor di litiganti.
 \ BUR.\ Con questo vostro dire volete ponere sotto sopra il mondo.
\ FRAC.\ Ti par che farrebe male un che volesse mettere.sotto sopra il mondo rinversato?
\ BUR.\ Volete far vane tante fatiche, studii, sudori di fisici auditi, de cieli e mondi, ove s'han lambiccato il cervello tanti gran commentatori, parafrasti, glosatori, compendiarii, summisti, scoliatori, traslatatori, questionarii, teoremisti? ove han poste le sue basi e gittati i suoi fondamenti i dottori profondi, suttili, aurati, magni, inespugnabili, irrefragabili, angelici, serafici, cherubici e divini?
 \ FRAC.\ Adde gli frangipetri, sassifragi, gli cornupeti e calcipotenti, Adde gli profundivedi, palladii, olimpici, firmamentici, celesti empirici, altitonanti.
 \ BUR.\ Le deveremo tutti a vostra instanza mandarle in un cesso? Certo, sar‡ ben governato il mondo, se saranno tolte via e dispreggiate le speculazioni di tanti e sÏ degni filosofi!
 \ FRAC.\ Non Ë cosa giusta che togliamo a gli asini le sue lattuche, e voler che il gusto di questi sia simile al nostro. La variet‡ d'ingegni ed intelletti non Ë minor che di spirti e stomachi.
 \ BUR.\ Volete che Platone sia uno ignorante, Aristotele sia un asino, e quei che l'hanno seguitati, sieno insensati, stupidi e fanatici?
 \ FRAC.\ Figlol mio, non dico, che questi sieno gli pulledri e quelli gli asini, questi le monine e quelli i scimioni, come voi volete ch'io dica; ma, come vi dissi da principio, le stimo eroi de la terra; ma che non voglio credergli senza causa, nÈ admettergli quelle proposizioni, de le quali le contradittorie, come possete aver compreso, se non siete a fatto cieco e sordo, sono tanto espressamente vere.
 \ BUR.\ Or chi ne sar‡ giudice?
\ FRAC.\ Ogni regolato senso e svegliato giudizio, ogni persona discreta e men pertinace, quando si conoscer‡ convitto ed impotente a defendere le raggioni di quelli e resistere a le nostre.
 \ BUR.\ Quando io non le saprÚ defendere, sar‡ per difetto della mia insufficienza, non della lor dottrina; quando voi, impugnandole, saprete conchiudere, non sar‡ per la verit‡ della dottrina, ma per le vostre sofistiche importunitadi.
 \ FRAC.\ Io, se mi conoscesse ignorante de le cause, mi astenerei da donar de le sentenze. S'io fusse talmente affetto come voi, mi stimarei dotto per fede e non per scienza.
 \ BUR.\ Se tu fussi meglio affetto, conoscereste che sei un asino presuntuoso, sofista, perturbator delle buone lettere, carnefice de gl'ingegni, amator delle novitadi, nemico de la verit‡, suspetto d'eresia.
 \ FIL.\ Sin ora costui ha mostrato d'aver poca dottrina, ora ne vuol far conoscere che ha poca discrezione e non Ë dotato di civilit‡.
 \ ELP.\ Ha buona voce, e disputa pi˘ gargliardamente che se fusse un frate di zoccoli. Burchio mio caro, io lodo molto la constanza della tua fede. Da principio dicesti che, ancor che questo fusse vero, non lo volevi credere.
 \ BUR.\ SÏ, pi˘ tosto voglio ignorar con molti illustri e.dotti, che saper con pochi sofisti, quali stimo sieno questi amici.
 \ FRAC.\ Malamente saprai far differenza tra dotti e sofisti, se vogliamo credere a quel che dici. Non sono illustri e dotti quei che ignorano; quei che sanno, non sono sofisti.
 \ BUR.\ Io so che intendete quel che voglio dire.
\ ELP.\ Assai sarrebe se noi potessimo intendere quel che dite, perchÈ voi medesimo arrete gran fatica per intender quel che volete dire.
 \ BUR.\ Andate, andate, pi˘ dotti ch'Aristotele; via, via, pi˘ divini che Platone, pi˘ profondi ch'Averroe, pi˘ giudiciosi de sÏ gran numero de filosofi e teologi di tante etadi e tante nazioni, che l'hanno commentati, admirati e messi in cielo. Andate voi, che non so chi siete e d'onde uscite, e volete presumere di opporvi al torrente di tanti gran dottori!
 \ FRAC.\ Questa sarrebe la meglior di quante n'avete fatte, se fusse una raggione.
\ BUR.\ Tu sareste pi˘ dotto ch'Aristotele, se non fussi una bestia, un poveraccio, mendico, miserabile, nodrito di pane di miglio, morto di fame, generato da un sarto, nato d'una lavandaria, nipote a Cecco ciabattino, figol di Momo, postiglion de le puttane, fratel di Lazaro che fa le scarpe a gli asini. Rimanete con cento diavoli ancor voi, che non siete molto megliori che lui!
 \ ELP.\ Di grazia, magnifico signore, non vi prendiate pi˘ fastidio di venire a ritrovarne, e aspettate che noi vengamo a voi.
 \ FRAC.\ Voler con pi˘ raggioni mostrar la veritade a simili, Ë come se con pi˘ sorte di sapone e di lescÏa pi˘ volte se lavasse il capo a l'asino; ove non se profitta pi˘ lavando cento che una volta, in mille che in un modo, ove Ë tutto uno l'aver lavato e non l'avere.
 \ FIL.\ Anzi, quel capo sempre sar‡ stimato pi˘ sordido in fine del lavare che nel principio ed avanti: perchÈ con aggiongervi pi˘ e pi˘ d'acqua e di profumi, si vegnono pi˘ e pi˘ a commovere i fumi di quel capo, e viene a sentirsi quel puzzo che non si senteva altrimente; il quale sar‡ tanto pi˘ fastidioso, quanto da liquori pi˘ aromatichi vien risvegliato. - Noi abbiamo molto detto oggi; mi rallegro molto della capacit‡ di Fracastorio e del maturo vostro giudizio, Elpino. Or, poi ch'avemo discorso circa l'essere, il numero e qualit‡ de gl'infiniti mondi, Ë bene che domani veggiamo, se vi son raggioni contrarie, e quali sieno quelle.
 \ ELP.\ CossÏ sia.
 \ FRAC.\ Adio.


Dialogo quarto


 \ FIL.\ Non son dunque infiniti gli mondi di sorte con cui Ë imaginato il composto di questa terra circondato da tante sfere, de quali altre contegnano un astro, altre astri innumerabili: atteso che il spacio Ë tale per quale possano discorrere tanti astri; ciascuno di questi Ë tale, che puÚ da per se stesso e da principio intrinseco muoversi alla comunicazion di cose convenienti; ognuno di essi Ë tanto ch'Ë sufficiente, capace e degno d'esser stimato un mondo; non Ë di loro chi non abbia efficace principio e modo di continuar e serbar la perpetua generazione e vita d'innumerabili ed eccellenti individui. Conosciuto che sar‡ che l'apparenza del moto mondano Ë caggionata dal vero moto diurno della terra (il quale similmente si trova in astri simili) non sar‡ raggione che ne costringa a stimar l'equidistanza de le stelle, che il volgo intende in una ottava sfera come inchiodate e fisse; e non sar‡ persuasione che ne impedisca di maniera, che non conosciamo che de la distanza di quelle innumerabili sieno differenze innumerabili di lunghezza di semidiametro. Comprenderemo, che non son disposti gli orbi e sfere nell'universo, come vegnano a comprendersi l'un l'altro, sempre oltre ed oltre essendo contenuto il minore dal maggiore, per esempio, gli squogli in ciascuna cipolla; ma che per l'etereo campo il caldo ed il freddo, diffuso da' corpi principalmente tali, vegnano talmente a contemperarsi secondo diversi gradi insieme, che si fanno prossimo principio di tante forme e specie di ente.
\ ELP.\ Su, di grazia, vengasi presto alla risoluzion delle raggioni di contrarii, e massime d'Aristotele, le quali son pi˘ celebrate e pi˘ famose, stimate della sciocca moltitudine con le perfette demostrazioni. Ed a fin che non paia che si lasce cosa a dietro, io referirÚ tutte le raggioni e sentenze di questo povero sofista, e voi una per una le considerarete.
 \ FIL.\ CossÏ si faccia.
\ ELP.\ » da vedere, dice egli nel primo libro del suo Cielo e mondo, se estra questo mondo sia un altro.
 \ FIL.\ Circa cotal questione sapete, che differentemente prende egli il nome del mondo e noi; perchÈ noi giongemo mondo a mondo, come astro ad astro in questo spaciosissimo etereo seno, come Ë condecente anco ch'abbiano inteso tutti quelli sapienti ch'hanno stimati mondi innumerabili ed infiniti. Lui prende il nome del mondo per un aggregato di questi disposti elementi e fantastici orbi sino al convesso del primo mobile, che, di perfetta rotonda figura formato, con rapidissimo tratto tutto rivolge, rivolgendosi egli, circa il centro, verso il qual noi siamo. PerÚ sar‡ un vano e fanciullesco trattenimento, se vogliamo raggion per raggione aver riguardo a cotal fantasia; ma sar‡ bene ed espediente de resolvere le sue raggioni per quanto possono esser contrarie al nostro senso, e non aver riguardo a ciÚ che non ne fa guerra..
 \ FRAC.\ Che diremo a color che ne rimproperasseno che noi disputiamo su l'equivoco?
\ FIL.\ Diremo due cose: e che il difetto di ciÚ Ë da colui ch'ha preso il mondo secondo impropria significazione, formandosi un fantastico universo corporeo; e che le nostre risposte non meno son valide supponendo il significato del mondo secondo la imaginazione de gli aversarii che secondo la verit‡. PerchÈ, dove s'intendeno gli punti della circumferenza ultima di questo mondo, di cui il mezzo Ë questa terra, si possono intendere gli punti di altre terre innumerabili che sono oltre quella imaginata circumferenza; essendo che vi sieno realmente, benchÈ non secondo la condizione imaginata da costoro; la qual, sia come si vuole, non gionge o toglie punto a quel che fa al proposito della quantit‡ de l'universo e numero de mondi.
 \ FRAC.\ Voi dite bene; sÈguita, Elpino.
\ ELP.\ "Ogni corpo", dice, "o si muove o si sta: e questo moto e stato o Ë naturale, o Ë violento. Oltre, ogni corpo, dove non sta per violenza, ma naturalmente, l‡ non si muove per violenza, ma per natura; e dove non si muove violentemente, ivi naturalmente risiede: di sorte che tutto ciÚ che violentemente Ë mosso verso sopra, naturalmente si muove verso al basso, e per contra. Da questo s'inferisce, che non son pi˘ mondi, quando consideraremo che, se la terra, la quale Ë fuor di questo mondo, si muove al mezzo di questo mondo violentemente, la terra, la quale Ë in questo mondo, si mover‡ al mezzo di quello naturalmente; e se il suo moto dal mezzo di questo mondo al mezzo di quello Ë violento, il suo moto dal mezzo di quel mondo a questo sar‡ naturale. La causa di ciÚ Ë che, se son pi˘ terre, bisogna dire, che la potenza de l'una sia simile alla potenza de l'altra; come oltre, la potenza di quel fuoco sar‡ simile alla potenza di questo. Altrimente le parti di que' mondi saran simili alle parti di questo in nome solo, e non in essere; e, per consequenza, quel mondo non sar‡, ma si chiamar‡ mondo, come questo. Oltre, tutti gli corpi che son d'una natura ed una specie, hanno un moto; perchÈ ogni corpo naturalmente si muove in qualche maniera. Se, dunque, ivi son terre, come Ë questa, e sono di medesima specie con questa, arranno certo medesimo moto; come, per contra, se Ë medesimo moto, sono medesimi elementi. Essendo cossÏ, necessariamente la terra di quel mondo si moverr‡ alla terra di questo, il fuoco di quello al fuoco di questo. Onde sÈguite oltre, che la terra non meno naturalmente si muove ad alto che al basso, ed il fuoco non meno al basso ch'a l'alto. Or, essendono tale cose impossibili, deve essere una terra, un centro, un mezzo, un orizonte, un mondo".
 \ FIL.\ Contra questo diciamo, che in quel modo con cui in questo universal spacio infinito la nostra terra versa circa questa regione ed occupa questa parte, nel medesimo gli altri astri occupano le sue parti e versano circa le sue regioni ne l'immenso campo. Ove, come questa terra costa di suoi membri, ha le sue alterazioni ed ha flusso e reflusso nelle sue parti (come accader veggiamo ne gli animali, umori e parti, le quali sono in continua alterazione e moto), cossÏ gli altri astri costano di suoi similmente affetti membri. E sicome questo, naturalmente si movendo secondo tutta la machina, non ha moto se non simile al circulare, con cui se svolge circa il proprio centro e discorre intorno al sole; cossÏ necessariamente quelli altri corpi che sono di medesima natura. E non altrimente le parti sole di quelli, che per alcuni accidenti sono allontanate dal suo loco (le quali perÚ non denno esser stimate parti principali o membri), naturalmente con proprio appulso vi ritornano, che parti de l'arida ed acqua, che per azion del sole e de la terra s'erano in forma d'exalazione e vapore allontanate verso membri e regioni superiori di questo corpo, avendono riacquistata la propria forma, vi ritornano. E cossÏ quelle parti oltre certo termine non si discostano dal suo continente come queste; come sar‡ manifesto quando vedremo la materia de le comete non appartenere a questo globo. CossÏ dunque, come le parti di un animale, benchÈ sieno di medesima specie con le parti di un altro animale, nulla di meno, perchÈ appartengono a diversi individui, giamai quelle di questi (parlo de le principali e lontane) hanno inclinazione al loco di quelle de gli altri: come non sar‡ mai la mia mano conveniente al tuo braccio, la tua testa al mio busto. Posti cotai fondamenti, diciamo veramente essere similitudine tra tutti gli astri, tra tutti gli mondi, e medesima raggione aver questa e le altre terre. PerÚ non sÈguita che dove Ë questo mondo debbano essere tutti gli altri, dove Ë situata questa debbano essere situate l'altre; ma si puÚ bene inferire che, sicome questa consiste nel suo luogo, tutte l'altre consistano nel suo: come non Ë bene che questa si muova al luogo dell'altre, non Ë bene che l'altre si muovano al luogo di questa: come questa Ë differente in materia ed altre circostanze individuali da quelle, quelle sieno differenti da questa. CossÏ le parti di questo fuoco si muovono a questo fuoco come le parti di quello a quello; cossÏ le parti di questa terra a questa tutta, come le parti di quella terra a quella tutta. CossÏ le parti di quella terra che chiamiamo luna, con le sue acqui, contra natura e violentemente si moverebono a questa, come si moverebono le parti di questa a quella. Quella naturalmente versa nel suo loco, ed ottiene la sua regione che Ë ivi; questa Ë naturalmente nella sua regione quivi; e cossÏ se riferiscono le parti sue a quella terra, come le sue a questa; cossÏ intendi de le parti di quelle acqui e di que' fochi. Il gi˘ e loco inferiore di questa terra non Ë alcun punto della regione eterea fuori ed extra di lei (come accade alle parti fatte fuori della propria sfera, se questo aviene), ma Ë nel centro de la sua mole o rotundit‡ o gravit‡. CossÏ il gi˘ di quella terra non Ë alcun luogo extra di quella, ma Ë il suo proprio mezzo, il proprio suo centro. Il su di questa terra Ë tutto quel ch'Ë nella sua circumferenza ed estra la sua circumferenza; perÚ cossÏ violentemente le parti di quella si muoveno extra la sua circumferenza e naturalmente s'accoglieno verso il suo centro, come le parti di questa violentemente si diparteno e naturalmente tornano verso il proprio mezzo. Ecco come si prende la vera similitudine tra.queste e quell'altre terre.
 \ ELP.\ Molto ben dite che, sicome Ë cosa inconveniente ed impossibile che l'uno di questi animali si muova e dimore dove Ë l'altro, e non abbia la propria sussistenza individuale con il proprio loco e circostanze; cossÏ Ë inconvenientissimo che le parti di questo abbiano inclinazione e moto attuale al luogo de le parti di quello.
 \ FIL.\ Intendete bene de le parti che son veramente parti. PerchÈ, quanto appartiene alli primi corpi indivisibili, de quali originalmente Ë composto il tutto, Ë da credere che per l'immenso spacio hanno certa vicissitudine, con cui altrove influiscano ed affluiscano altronde. E questi, se pur per providenza divina, secondo l'atto, non costituiscano nuovi corpi e dissolvano gli antichi, almeno hanno tal facult‡. PerchÈ veramente gli corpi mondani sono dissolubili; ma puÚ essere che o da virt˘ intrinseca o estrinseca sieno eternamente persistenti medesimi, per aver tale tanto influsso, quale e quanto hanno efflusso di atomi; e cossÏ perseverino medesimi in numero, come noi, che nella sustanza corporale similmente, giorno per giorno, ora per ora, momento per momento, ne rinuoviamo per l'attrazione e digestione che facciamo da tutte le parti del corpo.
 \ ELP.\ Di questo ne parlaremo altre volte. Quanto al presente, mi satisfate molto ancora per quel ch'avete notato, che cossÏ ogni altra terra s'intenderebe violentemente montare a questa, se si movesse a questo loco, come questa violentemente montarebbe se a qualsivoglia di quelle si movesse. PerchÈ, come da ogni parte di questa terra verso la circonferenza o ultima superficie, e verso l'orizonte emisferico dell'etere andando, si procede come in alto; cossÏ da ogni parte della superfice de altre terre verso questa se intende ascenso: atteso che cossÏ questa terra Ë circonferenziale a quelle come quelle a questa. Approvo che, benchÈ quelle terre sieno di medesima natura con questa, non per ciÚ sÈguite che si referiscano al medesimo centro a fatto; perchÈ cossÏ il centro d'un'altra terra non Ë centro di questa e la circonferenza sua non Ë circonferenza di costei, come l'anima mia non Ë vostra; la gravit‡ mia e di mie parti non Ë corpo e gravit‡ vostra; benchÈ tutti cotai corpi, gravitadi ed anime univocamente si dicano, e sieno di medesima specie.
 \ FIL.\ Bene. Ma non per questo vorrei che v'imaginaste che, se le parti di quella terra appropinquassero a questa terra, non sarebbe possibile che medesimamente avessero appulso a questo continente, come se le parti di questa s'avicinassero a quella; benchÈ ordinariamente il simile non veggiamo accadere ne gli animali e diversi individui de le specie di questi corpi, se non quanto l'uno si nutrisce ed aumenta per l'altro e l'uno si trasmuta ne l'altro.
 \ ELP.\ Sta bene. Ma che dirrai, se tutta quella sfera fusse tanto vicina a questa quanto accade che da lei s'allontanino le sue parti che hanno attitudine di rivenire al suo continente?
 \ FIL.\ Posto che le parti notabili de la terra si facciano fuori de la circonferenza de la terra, circa la quale Ë.detto esser l'aria puro e terso, facilmente concedo che da quel loco possano rivenir cotai parti come naturalmente al suo loco; ma non gi‡ venir tutta un'altra sfera, nÈ naturalmente descendere le parti di quella, ma pi˘ tosto violentemente ascendere; come le parti di questa non naturalmente descenderebono a quella, ma per violenza ascenderebono. PerchÈ a tutti gli mondi l'estrinseco della sua circonferenza Ë il su, e l'intrinseco centro Ë il gi˘, e la raggione del mezzo a cui le loro parti naturalmente tendeno, non si toglie da fuori, ma da dentro di quelli; come hanno ignorato coloro, che fingendo certa margine e vanamente definendo l'universo, hanno stimato medesimo il mezzo e centro del mondo e di questa terra. Del che il contrario Ë conchiuso, famoso e concesso appresso gli matematici di nostri tempi; che hanno trovato che dall'imaginata circonferenza del mondo non Ë equidistante il centro de la terra. Lascio gli altri pi˘ savi, che, avendo capito il moto de la terra, hanno trovato, non solamente per raggioni proprie alla lor arte, ma etiam per qualche raggion naturale, che del mondo ed universo che col senso de gli occhi possiamo comprendere, pi˘ raggionevolmente, e senza incorrere inconvenienti, e con formar teoria pi˘ accomodata e giusta, applicabile al moto pi˘ regolare de gli detti erroni circa il mezzo, doviamo intendere la terra essere tanto lontana dal mezzo quanto il sole. Onde facilmente con gli loro principii medesimi han modo di scuoprir a poco a poco la vanit‡ di quel che si dice della gravit‡ di questo corpo, e differenza di questo loco da gli altri, dell'equidistanza di mondi innumerabili, che veggiamo da questo oltre gli detti pianeti, del rapidissimo moto pi˘ tosto di tutti quei circa quest'uno, che della versione di quest'uno a l'aspetto di que' tutti; e potranno dovenir suspetti almeno sopra altri sollennissimi inconvenienti che son suppositi nella volgar filosofia. Or, per venire al proposito onde siamo partiti, torno a dire che nÈ tutto l'uno nÈ parte de l'uno sarrebe atto a muoversi verso il mezzo de l'altro, quantunque un altro astro fusse vicinissimo a questo, di sorte che il spacio o punto della circonferenza di quello si toccasse col punto o spacio della circonferenza di questo.
 \ ELP.\ Di questo il contrario ha disposto la provida natura, perchÈ, se ciÚ fusse, un corpo contrario destruggerebe l'altro; il freddo e umido s'ucciderebono col caldo e secco: de quali, perÚ a certa e conveniente distanza disposti, l'uno vive e vegeta per l'altro. Oltre, un corpo simile impedirebe l'altro dalla comunicazione e partecipazione del conveniente che dona al dissimile e dal dissimile riceve; come ne dechiarano tal volta non mediocri danni ch'alla fragilit‡ nostra apportano le interposizioni di un'altra terra, che chiamiamo luna, tra questa e il sole. Or che sarrebe se la fusse pi˘ vicina alla terra, e pi˘ notabilmente a lungo ne privasse di quel caldo e vital lume?
 \ FIL.\ Dite bene. Seguitate ora il proposito d'Aristotele.
\ ELP.\ Apporta appresso una finta risposta; la quale dice, che per questa raggione un corpo non si muove a l'altro,.perchÈ quanto Ë rimosso da l'altro per distanza locale, tanto viene ad essere di natura diverso. E contra questo dice lui, che la distanza maggiore e minore non Ë potente a far che la natura sia altra ed altra.
\ FIL.\ Questo, inteso come si deve intendere, Ë verissimo. Ma noi abbiamo altro modo di rispondere, ed apportiamo altra raggione, per cui una terra non si muova a l'altra, o vicina o lontana che la sia.
 \ ELP.\ La ho intesa. Ma pur mi par oltre vero quello che Ë da credere che volesser dir gli antichi, che un corpo per maggior lontananza acquista minor attitudine (che loro chiamorno propriet‡ e natura per il lor frequente modo di parlare); perchÈ le parti, alle quali Ë soggetto molto aria, son meno potenti a dividere il mezzo e venire al basso.
 \ FIL.\ » certo ed assai esperimentato nelle parti de la terra, che, da certo termine del loro recesso e lontananza, ritornar sogliono al suo continente; a cui tanto pi˘ s'affrettano quanto pi˘ s'avicinano. Ma noi parliamo ora delle parti d'un'altra terra.
 \ ELP.\ Or, essendo simile terra a terra, parte a parte, che credi, se fussero vicine? non sarrebe ugual potenza tanto alle parti de l'altra di andar a l'una e l'altra terra, e per consequenza ascendere e descendere?
 \ FIL.\ Posto uno inconveniente (se Ë inconveniente), che impedisce che se ne pona un altro consequente? Ma, lasciando questo, dico che le parti, essendo in equal raggione e distanza di diverse terre, o rimagnono, o se determinano un loco a cui vadano, a rispetto di quello si diranno descendere, ed ascendere a rispetto de l'altro da cui s'allontanano.
\ ELP.\ Pure chi sa che le parti di un corpo principale si muovano ad un altro corpo principale, benchÈ simile in specie? PerchÈ appare che le parti e membri di un uomo non possono quadrare e convenire ad un altr'uomo.
 \ FIL.\ » vero principale e primariamente; ma accessoria e secondariamente accade il contrario. PerchÈ abbiamo visto per esperienza che della carne d'un altro s'attacca al loco ove era un naso di costui; e ne confidiamo di far succedere l'orecchio d'un altro ove era l'orecchio di costui, facilissimamente.
 \ ELP.\ Questa chirugia non dev'esser volgare.
 \ FIL.\ Non sia.
\ ELP.\ Torno al punto di voler sapere: se accadesse che una pietra fusse in mezzo a l'aria in punto equidistante da due terre, in che modo doviamo credere che rimanesse fissa? ed in che modo si determinarebbe ad andar pi˘ presto all'uno ch'all'altro continente?
30 \ FIL.\ Dico che la pietra, per la sua figura, non riguardando pi˘ l'uno che l'altro, e l'uno e l'altro avendo equal relazione alla pietra, ed essendo a punto medesimamente affetti a quella, dal dubio della resoluzione ed equal raggione a doi termini oppositi accaderebe che si rimagna, non potendosi risolvere d'andar pi˘ tosto a l'uno ch'a l'altro, de quali questo non rapisce pi˘ che quello, ed essa non ha maggior appulso a questo che a quello. Ma, se l'uno gli Ë pi˘ congeneo e connaturale, e gli Ë pi˘ o simile o atto a conservarla, se determinar‡ per il pi˘ corto camino rettamente di rapportarsi a quello. PerchÈ lo principal principio motivo non Ë la propria sfera e proprio continente, ma l'appetito di conservarsi: come veggiamo la fiamma serpere per terra, ed inchinarsi, e ramenarsi al basso per andare al pi˘ vicino loco in cui inescare e nodrirsi possa; e lasciar‡ d'andar verso il sole, al quale, senza discrime d'intiepidirse per il camino, non se in‡ria.
 \ ELP.\ Che dici di quel che soggionge Aristotele, che le parti e congenei corpi, quantunque distanti sieno, si muoveno pure al suo tutto e suo consimile?
 \ FIL.\ Chi non vede, ch'Ë contra ogni raggione e senso, considerato quel ch'abbiamo poco fa detto? Certo, le parti fuor del proprio globo si muoveranno al propinquo simile, ancor che quello non sia il suo primario e principal continente; e talvolta a altro, che lo conserve e nodrisca, benchÈ non simile in specie; perchÈ il principio intrinseco impulsivo non procede dalla relazione ch'abbia a loco determinato, certo punto e propria sfera, ma da l'appulso naturale di cercar ove meglio e pi˘ prontamente ha da mantenersi e conservarsi nell'esser presente; il quale, quantunque ignobil sia, tutte le cose naturalmente desiderano. Come massime desiderano vivere quegli uomini, e massime temeno il morire coloro che non han lume di filosofia vera, e non apprendeno altro essere ch'il presente, e pensano che non possa succedere altro che appartenga a essi. PerchÈ non son pervenuti ad intendere che il principio vitale non consiste ne gli accidenti che resultano dalla composizione, ma in individua ed indissolubile sustanza, nella quale, se non Ë perturbazione, non conviene desiderio di conservarsi, nÈ timore di sperdersi; ma questo Ë conveniente a gli composti, cioË secondo raggione simmetrica, complessionale, accidentale. PerchÈ nÈ la spiritual sustanza, che s'intende unire, nÈ la materiale, che s'intende unita, possono esser suggette ad alterazione alcuna o passione, e per consequenza non cercano di conservarsi, e perÚ a tai sustanze non convien moto alcuno, ma a le composte. Tal dottrina sar‡ compresa, quando si sapr‡ ch'esser grave o lieve non conviene a' mondi, nÈ a parte di quelli; perchÈ queste differenze non sono naturalmente, ma positiva e rispettivamente. Oltre, da quel ch'abbiamo altre volte considerato, cioË che l'universo non ha margine, non ha estremo, ma Ë inmenso ed infinito, aviene che a gli corpi principali a riguardo di qualche mezzo o estremo, non possono determinarsi a moversi rettamente, perchÈ da tutt'i canti fuor della sua circumferenza hanno ugual e medesimo rispetto: perÚ non hanno altro moto retto che di proprie parti, non a riguardo d'altro mezzo e centro che del proprio intiero, continente e perfetto. Ma di questo considerarÚ al suo proposito e loco. Venendo dunque al punto, dico: che, secondo gli suoi medesimi principii, non potr‡ verificar questo filosofo che corpo, quantunque lontano, abbia attitudine di rivenire al suo continente o simile, se lui intende le comete di materia terrestre; e tal materia, quale in forma di exalazione Ë montata in alto all'incentiva region del foco; le quali parti sono inetti a descendere al basso; ma, rapite dal vigor del primo mobile, circuiscono la terra, e pure non sono di quinta essenza, ma corpi terrestri gravissimi, spessi e densi. Come chiaro si argumenta da l'apparenza in sÏ lungo intervallo e lunga esistenza che fanno al grave e vigoroso incendio del foco: che tal volta perseverano oltre un mese a bruggiare, come per quarantacinque giorni continui a' tempi nostri n'Ë vista una. Or, se per la distanza non si destrugge la raggion de la gravit‡, per che caggione tal corpo non solo non viene al basso, nÈ si sta fermo, ma oltre circuisce la terra? Se dice che non circuisce per sÈ, ma per essere rapito; insisterÚ oltre, che cossÏ anco ciascuno di suoi cieli ed astri (li quali non vuol che sieno gravi, nÈ lievi, nÈ di simil materia) son rapiti. Lascio che il moto di questi corpi par proprio a essi, perchÈ non Ë mai conforme al diurno, nÈ a quei d'altri astri.
 La raggione Ë ottima per convencer costoro da suoi medesimi principii. PerchÈ della verit‡ della natura di comete ne parleremo, facendo propria considerazione di quelle, dove mostraremo e che tali accensioni non son dalla sfera del foco, perchÈ verrebono da ogni parti accese, atteso che secondo tutta la circunferenza o superficie de la sua mole sono contenute nell'aria attrito dal caldo, come essi dicono, o pur sfera del fuoco: ma sempre vedemo l'accensione essere da una parte; conchiuderemo le dette comete esser specie di astro, come bene dissero ed intesero gli antichi; ed essere tale astro che, col proprio moto avicinandosi ed allontanandosi verso e da questo astro per raggione di accesso e recesso, prima par che cresca, come si accendesse, e poi manca, come s'estinguesse: e non si muove circa la terra; ma il suo moto proprio Ë quello, che Ë oltre il diurno proprio alla terra, la quale, rivolgendosi con il proprio dorso, viene a fare orienti ed occidenti tutti que' lumi che sono fuor della sua circonferenza. E non Ë possibile che quel corpo terrestre e sÏ grande possa da sÏ liquido aere e sottil corpo che non resiste al tutto, esser rapito, e mantenuto, contra sua natura, sospeso; il cui moto, se fusse vero, sarrebe solamente conforme a quel del primo mobile, dal quale Ë rapito, e non imitarebe il moto di pianeti; onde ora Ë giudicato di natura di Mercurio, ora della luna, ora di Saturno, or de gli altri. Ma, e di questo altre volte, a suo proposito, si parlar‡. Basta ora averne detto sin tanto che baste per argumento contra costui, che dalla propinquit‡ e lontananza non vuole che s'inferisca maggior e minor facult‡ del moto, che lui chiama proprio e naturale, contra la verit‡. La quale non permette possa dirse proprio e naturale ad un suggetto in tal disposizione, nella quale mai gli puÚ convenire; e perÚ, se le parti da oltre certa distanza mai se muoveno al continente, non si deve dire che tal moto sia naturale a quelle.
 \ ELP.\ Ben conosce chi ben considera che costui avea principii tutti contrarii alli principii veri della natura. Replica appresso che, "se il moto di corpi semplice Ë naturale a essi, averr‡ che gli corpi semplici, che sono in molti mondi, e sono di medesima specie, si muovano o al medesimo mezzo o al medesimo estremo".
 \ FIL.\ Questo Ë quello che lui non potr‡ giamai provare, cioË che si debbano muovere al medesimo loro particulare ed individuale. PerchÈ da quel, che gli corpi son di medesima specie, s'inferisce che a quelli si convegna luogo di medesima specie e mezzo de medesima specie, ch'Ë il centro proprio; e non si deve nÈ puÚ inferire che richiedano loco medesimo di numero.
 \ ELP.\ » stato lui alcunamente presago di questa risposta; e perÚ da tutto il suo vano sforzo caccia questo, che vuol provare la differenza numerale non esser causa della diversit‡ de luoghi.
 \ FIL.\ Generalmente veggiamo tutto il contrario. Pur dite, come il prova?
\ ELP.\ Dice che, se la diversit‡ numerale di corpi dovesse esser caggione della diversit‡ di luoghi, bisognarebbe che delle parti di questa terra diverse in numero e gravit‡ ciascuna nel medesimo mondo avesse il proprio mezzo. Il che Ë impossibile ed inconveniente, atteso che secondo il numero de gl'individui de parti de la terra sarrebe il numero de mezzi.
 \ FIL.\ Or considerate, che mendica persuasione Ë questa. Considerate, se per tanto vi potrete mover punto dalla opinion contraria, o pi˘ tosto confirmarvi in quella. Chi dubita che non sia inconveniente dire uno essere il mezzo di tutta la mole, e del corpo ed animale intiero, a cui e verso cui si referiscono, accoglieno, e per cui si uniscano ed hanno base tutte le parti; e posserno essere positivamente innumerabili mezzi, secondo che della innumerabile moltitudine de le parti, in ciascuna possiamo cercare o prendere o supponere il mezzo? Nell'uomo uno Ë semplicemente il mezzo, che si dice il core; e poi molti sono altri mezzi, secondo la moltitudine de le parti, de quali il core ha il suo mezzo, il pulmone il suo, l'epate il suo, il capo, il braccio, la mano, il piede, questo osso, questa vena, questo articolo e queste particelle che constituiscono cotai membri ed hanno particular e determinato sito, tanto nel primo e generale, ch'Ë tutto individuo, quanto nel prossimo e particular, ch'Ë tutto questo o quell'altro membro de l'individuo.
 \ ELP.\ Considerate che lui si puÚ intendere, che non voglie dir semplicemente, perchÈ ciascuna parte abbia il mezzo; ma che abbia il mezzo a cui si muova.
 \ FIL.\ Al fine tutto va ad uno: perchÈ nell'animale non si richiede che tutte le parti vadano al mezzo e centro; perchÈ questo Ë impossibile ed inconveniente, ma che si referiscano a quello per la unione de le parti e constituzion del tutto. PerchÈ la vita e consistenza delle cose dividue non si vede in altro che nella debita unione de le parti, le quali sempre s'intendeno aver quel termine che medesimo si prende per mezzo e centro. PerÚ, per la constituzion del tutto intiero, le parti si riferiscono ad un sol mezzo; per la constituzion di ciascun membro, le particole di ciascuno si referiscono al mezzo particular di ciascuno, a fin che l'epate consista per l'union de le sue parti: cossÏ il pulmone, il capo, l'orecchio, l'occhio ed altri. Ecco, dunque, come non solamente non Ë inconveniente, ma naturalissimo, e che sieno molti mezzi secondo la raggione di molte parti e particole de le parti, se gli piace; perchÈ di questi d'uno Ë constituito, sussistente e consistente per la consistenza, sussistenza e constituzione de l'altri. Certo, si sdegna l'intelletto su le considerazioni sopra frascarie tali, quali apporta questo filosofo.
 \ ELP.\ Questo si deve patire per la riputazione, ch'ha guadagnato costui, pi˘ per non esser inteso che per altro. Ma pur, di grazia, considerate un poco quanto questo galantuomo si compiacque in questo argumentaccio. Vedete che, quasi trionfando, soggionge queste paroli: "Se, dunque, il contradicente non potr‡ contradire a questi sermoni e raggioni, necessariamente Ë uno mezzo ed uno orizonte".
 \ FIL.\ Dice molto bene. Seguitate.
\ ELP.\ Appresso prova, che gli moti semplici son finiti e determinati; perchÈ quel che disse, che il mondo Ë uno e gli moti semplici hanno proprio loco, era fondato sopra di questo. Dice dunque cossÏ: "Ogni mobile si muove da un certo termine ad un certo termine: e sempre Ë differenza specifica tra il termino onde, ed il termino ove, essendo ogni mutazion finita; tali sono morbo e sanit‡, picciolezza grandezza, qua ll‡; perchÈ quel che si sana, non tende ove si voglia, ma alla sanit‡. Non son dunque il moto della terra e del foco in infinito, ma a certi termini diversi da que' luoghi, da quai si muoveno; perchÈ il moto ad alto non Ë moto al basso: e questi doi luoghi son gli orizonti de moti. Ecco, come Ë determinato il moto retto. Non meno determinato Ë il moto circulare; perchÈ da certo a certo termine, da contrario a contrario, Ë ancor quello, se vogliamo considerar la diversit‡ del moto, la quale Ë nel diametro del circolo; perchÈ il moto di tutto il circolo a fatto non ha contrario (perchÈ non si termina ad altro punto che a quello da cui cominciÚ), ma nelle parti della revoluzione, quando questa Ë presa da uno estremo del diametro all'altro opposito".
\ FIL.\ Questo, che il moto Ë determinato e finito secondo tali raggioni, non Ë chi lo neghi o ne dubiti; ma Ë falso che sia semplicemente determinato alto e determinato basso, come altre volte abbiamo detto e provato. PerchÈ, indifferentemente, ogni cosa si muove o qua o l‡, ovunque sia il luogo della sua conservazione. E diciamo (ancor supponendo gli principii d'Aristotele ed altri simili) che, se infra la terra fusse altro corpo, le parti della terra violentemente vi rimarrebono, ed indi naturalmente montarebono. E non negar‡ Aristotele, che, se le parti del fuoco fussero sopra la sua sfera (come, per esempio, ove intendeno il cielo o cupola di Mercurio), descenderebono naturalmente. Vedete dunque, quanto bene naturalmente determinino su e gi˘, grave e lieve, dopo ch'arrete considerato che tutti corpi, ovunque sieno e dovunque si muovano, ritegnono e cercano al possibile il loco della conservazione. Tuttavia, quantunque sia vero che ogni cosa si muove per gli suoi mezzi, da' suoi ed a' suoi termini, ed ogni moto, o circulare o retto, Ë determinato da opposito in opposito; da questo non sÈguita che l'universo sia finito di grandezza, nÈ che il mondo sia uno; e non si distrugge che sia infinito il moto semplicemente di qualsivoglia atto particolare, per cui quel spirto, come vogliam dire, che fa ed incorre a questa composizione, unione e vivificazione, puÚ essere e sar‡ sempre in altre ed altre infinite. PuÚ dunque stare, che ogni moto sia finito (parlando del moto presente, non absoluta e semplicemente di ciascun particulare, ed in tutto) e che infiniti mondi sieno: atteso che, come ciascuno de gl'infiniti mondi Ë finito ed ha regione finita, cossÏ a ciascuno di quei convegnono prescritti termini del moto suo e de sue parti.
 \ ELP.\ Voi dite bene; e con questo, senza che sÈguite inconveniente alcuno contra di noi, nÈ cosa che sia in favor di quelle che lui vuol provare, Ë apportato quel "segno", che lui soggionge a mostrar, "che il moto non sia in infinito, perchÈ la terra ed il fuoco quanto pi˘ s'accostano alla sua sfera, tanto pi˘ velocemente si muoveno; e perÚ, se il moto fusse in infinito, la velocit‡, levit‡ e gravit‡ verrebe ad essere in infinito".
 \ FIL.\ Buon pro gli faccia.
\ FRAC.\ SÏ. Ma questo mi par il gioco de le bagattelle; perchÈ, se gli atomi hanno moto infinito per la succession locale che a tempi a tempi fanno, or avendo efflusso da questo, or influsso in quello, or giungendosi a questa, or a quella composizione, or concorrendo in questa, or in quella figurazione per il spacio inmenso dell'universo; verranno per certo ad avere infinito moto locale, discorrere per infinito spacio e concorrere ad infinite alternazioni. Per questo non sÈguita ch'abbiano infinita gravit‡, levit‡ o velocit‡.
 \ FIL.\ Lasciamo da parte il moto delle prime parti ed elementi, e consideriamo solamente de le parti prossime e determinate a certa specie di ente, cioË di sustanza: come de le parti de la terra, che son pur terra. Di queste veramente si dice, che in quei mondi che sono, ed in quelle regioni dove versano, in quella forma che ottegnono, non si muoveno se non da certo a certo termine. E da questo non pi˘ sÈguita questa conclusione: dunque l'universo Ë finito ed il mondo Ë uno, - che quest'altra: dunque le scimie nascono senza coda, dunque i gufi veggono la notte senza occhiali, dunque i pipistrelli fanno lana. Oltre, di queste parti intendendo, giamai si potr‡ far tale illazione: l'universo Ë infinito, son terre infinite; dunque puotr‡ una parte di terra continuamente muoversi in infinito, e deve aver ad una terra infinitamente distante appulso infinito e gravit‡ infinita. E questo per due caggioni: de quali l'una Ë, che non si puÚ dar questo transito, perchÈ, constando l'universo di corpi e principii contrarii non potrebbe tal parte molto discorrere per l'eterea regione, che non venesse ad esser vinta dal contrario e dovenir a tale che non pi˘ si muova quella terra; perchÈ quella sustanza non Ë pi˘ terra, avendo, per vittoria del contrario, cangiato complessione e volto. L'altra, che generalmente veggiamo che tanto manca, che mai da distanza infinita possa esser impeto di gravit‡ o levit‡, come dicono, che tal appulso de parti non puÚ essere se non infra la regione del proprio continente; le quali, se fussero estra quella, non pi˘ vi si muoverebono, che gli fluidi umori (quali ne l'animale si muoveno da parti esterne all'interne, superiori ed inferiori, secondo tutte differenze, montando e bassando, rimovendosi da questa a quella e da quella a questa parte), messi fuori del proprio continente ancor contigui a quello, perdeno tal forza ed appulso naturale. Vale dunque per tanto spacio tal relazione, quanto vien misurato per il semediametro dal centro di tal particular regione alla sua circonferenza, dove circa questa Ë la minima gravit‡, e circa quello la massima; e nel mezzo, secondo gli gradi della propinquit‡ circa l'uno o l'altra, la viene ad esser maggior e minore; come appare nella presente demostrazione, in cui A significa il centro de la regione, dove, parlando comunmente, la pietra non Ë grave nÈ lieve; B significa la circonferenza della regione, dove parimente non sar‡ grave nÈ lieve, e rimarr‡ quieta (onde appare ancora la coincidenza del massimo e minimo, quale Ë dimostrata in fine del libro De principio, causa ed uno); 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, significano le differenze di spaci tramezanti:
B 9 nÈ grave, nÈ lieve.
8 minimo grave, levissimo.
7 assai men grave, assai pi˘ lieve.
6 meno grave, pi˘ lieve.
5 grave, lieve.
4 pi˘ grave, men lieve.
3 assai pi˘ grave, assai men lieve.
2 gravissimo, minimo lieve.
A 1 nÈ grave, nÈ lieve.
 Or vedete oltre quanto manca ch'una terra debba muoversi a l'altra, che anco le parti di ciascuna, messe fuor della propria circonferenza, non hanno tale appulso.
 \ ELP.\ Volete che sia determinata questa circonferenza?
\ FIL.\ SÏ, quanto alla massima gravit‡, che potesse esser nella massima parte; o se pur ti piace (perchÈ tutto il globo non Ë grave nÈ lieve), in tutta la terra. Ma quanto alle differenze mezzane de gravi e lievi, che dico si denno prendere tanto diverse differenze, quanto diversi possono essere gli pondi di diverse parti che son comprese tra il massimo e minimo grave.
 \ ELP.\ Discretamente, dunque, si deve intendere questa scala.
\ FIL.\ Ogniuno ch'ha ingegno, potr‡ da per sÈ intendere il come. Or quanto alle referite raggioni d'Aristotele, assai Ë detto. Veggiamo adesso, se oltre nelle seguenti apporta qualche cosa.
\ ELP.\ Di grazia contentatevi che di questo ne parliamo nel seguente giorno; perchÈ sono aspettato dall'Albertino, che Ë disposto di venir qua a ritrovarvi domani. Dal qual credo, che potrete udir tutte le pi˘ gagliarde raggioni che per l'opinion contraria possono apportarsi, per esser egli assai prattico nella commune filosofia.
 \ FIL.\ Sia con vostra commodit‡.


Dialogo quinto


Albertino, nuovo interlocutore.
 \ ALB.\ Vorrei sapere che fantasma, che inaudito mostro, che uomo eteroclito, che cervello estraordinario Ë questo; quai novelle costui di nuovo porta al mondo; o pur che cose absolete e vecchie vegnono a rinuovarsi, che amputate radici vegnono a repullular in questa nostra etade.
\ ELP.\ Sono amputate radici che germogliano, son cose antique che rivegnono, son veritadi occolte che si scuoprono: Ë un nuovo lume che, dopo lunga notte, spunta all'orizonte ed emisfero della nostra cognizione ed a poco a poco s'avicina al meridiano della nostra intelligenza.
 \ ALB.\ S'io non conoscesse Elpino, so che direi.
 \ ELP.\ Dite pur quel che vi piace; chÈ, se voi avete ingegno, come io credo averlo, gli consentirete come io gli consento; se l'avete megliore, gli consentirete pi˘ tosto e meglio, come credo che sar‡. Atteso che quelli a' quali Ë difficile la volgar filosofia ed ordinaria scienza, e sono ancor discepoli e mal versati in quella (ancor che non si stimino tali, per quel che sovente esser suole), non sar‡ facile che si convertano al nostro parere; perchÈ in cotali puÚ pi˘ la fede universale, ed in essi massime la fama de gli autori che gli son stati messi per le mani, trionfa; per il che admirano la riputazion di espositori e commentatori di quelli. Ma gli altri a' quali la detta filosofia Ë aperta e che son gionti a quel termine, onde non son pi˘ occupati a spendere il rimanente della lor vita ad intendere quel ch'altri dica, ma hanno proprio lume ed occhi de l'intelletto vero agente, penetrano ogni ricetto, e qual'Argi, con gli occhi de diverse cognizioni, la possono contemplar per mille porte ignuda; potranno, facendosi pi˘ appresso, distinguere tra quel che si crede e s'ha per concesso e vero, per mirar da lontano per forza di consuetudine e senso generale, e quel che veramente Ë, e deve aversi per certo, come constante nella verit‡ e sustanza de le cose. Malamente, dico, potranno approvar questa filosofia color che o non hanno buona felicit‡ d'ingegno naturale, o pur non sono esperti, almeno mediocremente, in diverse facultadi, e non son potenti sÏ fattamente nell'atto reflesso de l'intelletto che sappiano far differenza da quello ch'Ë fondato su la fede, a ciÚ che Ë stabilito su l'evidenza di veri principii; perchÈ tal cosa comunmente s'ha per principio che, ben considerata, si trovar‡ conclusione impossibile e contra natura. Lascio quelli sordidi e mercenarii ingegni che, poco e niente solleciti circa la verit‡, si contentano saper secondo che comunmente Ë stimato il sapere; amici poco di vera sapienza, bramosi di fama e riputazion di quella; vaghi d'apparire, poco curiosi d'essere. Malamente, dico, potr‡ eligere tra diverse opinioni e talvolta contradittorie sentenze chi non ha sodo e retto giudizio circa quelle. Difficilmente varr‡ giudicare chi non Ë potente a far comparazione tra queste e quelle, l'una e l'altra. A gran pena potr‡ comparar le diverse insieme chi non capisce la differenza che le distingue. Assai malagevole Ë comprendere in che differiscano e come siano altre queste da quelle, essendo occolta la sustanza di ciascuna e l'essere. Questo non potr‡ giamai essere evidente, se non Ë aperto per le sue cause e principii ne gli quali ha fondamento. Dopo, dunque, che arrete mirato con l'occhio de l'intelletto e considerato col regolato senso gli fondamenti, principii e cause, dove son piantate queste diverse e contrarie filosofie, veduto qual sia la natura, sustanza e propriet‡ di ciascuna, contrapesato con la lance intellettuale e visto qual differenza sia tra l'une e l'altre, fatta comparazion tra queste e quelle e rettamente giudicato, senza esitar punto farete elezion di consentire al vero.
\ ALB.\ Contra le opinioni vane e stolte esser sollecito Ë cosa da vano e stolto, dice il principe Aristotele.
 \ ELP.\ Assai ben detto. Ma, se ben guardate, questa sentenza e conseglio verr‡ a pratticarsi contra le sue opinioni medesime, quando saranno apertamente stolte e vane. Chi vuol perfettamente giudicare, come ho detto, deve saper spogliarsi dalla consuetudine di credere; deve l'una e l'altra contradittoria esistimare equalmente possibile, e dismettere a fatto quella affezione di cui Ë imbibito da nativit‡: tanto quella che ne presenta alla conversazion generale, quanto l'altra per cui mediante la filosofia rinascemo, morendo al volgo, tra gli studiosi stimati sapienti dalla moltitudine ed in un tempo. Voglio dire, quando accade controversia tra questi ed altri stimati savii da altre moltitudini ed altri tempi, se vogliamo rettamente giudicare, doviamo richiamare a mente quel che dice il medesimo Aristotele, che, per aver riguardo a poche cose, talvolta facilmente gittamo sentenze; ed oltre, che l'opinione talvolta per forza di consuetudine sÏ fattamente s'impadronisce del nostro consentimento che tal cosa ne par necessaria, ch'Ë impossibile; tal cosa scorgemo ed apprendiamo per impossibile, ch'Ë verissima e necessaria. E se questo accade nelle cose per sÈ manifeste, che deve essere in quelle che son dubie ed hanno dependenza da ben posti principii e saldati fondamenti?
 \ ALB.\ » opinione del commentatore Averroe ed altri molti, che non si puÚ sapere quel tanto ch'ha ignorato Aristotele.
 \ ELP.\ Questo con tal moltitudine era situato con l'ingegno sÏ al basso, ed erano in sÏ spesse tenebre, che il pi˘ alto e pi˘ chiaro che vedevano, gli era Aristotele. PerÚ se costui ed altri, quando si lascian cascar simil sentenza, volessero pi˘ castigatamente parlare, direbono Aristotele esser un Dio, secondo il lor parere; onde non tanto vegnano a magnificar Aristotele, quanto ad esplicar la propria dapoccagine; perchÈ non altrimente questo Ë secondo il lor parere, che, secondo il parer della scimia, le pi˘ belle creature del mondo son gli sui figli ed il pi˘ vago maschio de la terra Ë il suo scimione.
 \ ALB.\ Parturient montes...
\ ELP.\ Vedrete che non Ë sorgio quel che nasce.
\ ALB.\ Molti hanno balestrato e machinato contra.Aristotele; ma son cascati i castegli, son spuntate le frecce e gli son rotti gli archi.
 \ ELP.\ Che fia, se una vanit‡ guerreggia contra l'altra? L'una Ë potente contra tutte; non per questo perde l'esser vanit‡; ed al fine non potr‡ esser discoperta e vinta dal vero?
 \ ALB.\ Dico che Ë impossibile di contradir demostrativamente ad Aristotele.
 \ ELP.\ Questo Ë un troppo precipitoso dire.
\ ALB.\ Io non lo dico, se non dopo aver veduto bene ed assai meglio considerato quanto dice Aristotele. Ed in quello tanto manca ch'io vi trove errore alcuno, che niente vi scorgo che non sappia de divinit‡; e credo che altro non si possa accorgere di quel ch'io non ho possuto accorgermi.
 \ ELP.\ Dunque misurate il stomaco e cervello altrui secondo il vostro, e credette non esser possibile ad altri quel ch'Ë impossibile a voi. Sono al mondo alcuni tanto infortunati ed infelici che, oltre che son privi d'ogni bene, hanno per decreto del fato per compagna eterna tale Erinni ed infernal furia, che li fa volontariamente con l'atro velo di corrosiva invidia appannarsi gli occhi per non veder la sua nudit‡, povert‡ e miseria, e l'altrui ornamenti, ricchezze e felicitadi: voglion pi˘ tosto in sporca e superba penuria intisichire, e sotto il lettame di pertinace ignoranza star sepolti, ch'esser veduti conversi a nuova disciplina, parendogli di confessar d'esser stato sin allora ignorante ed aver un tal per guida.
 \ ALB.\ Volete dunque, verbi gratia, che mi faccia discepolo di costui? io che son dottore approvato da mille academie, e che ho essercitata publica profession de filosofie nelle prime academie del mondo, vegna ora a rinegar Aristotele e mi faccia insegnar filosofia da simili?
 \ ELP.\ Io per me, non come dottore, ma come indotto, vorrei essere insegnato; non come quello che dovrei essere, ma come quello che non sono, vorrei imparare; accettarei per maestro non sol costui, ma qualsivogli' altro che gli dei hanno ordinato che mi sia, perchÈ gli fanno intendere quel ch'io non intendo.
 \ ALB.\ Dunque mi volete far ripuerascere?
 \ ELP.\ Anzi dispuerascere.
 \ ALB.\ Gran mercÈ alla vostra cortesia, poi che pretendete d'avanzarmi e pormi in exaltazione con farmi auditore di questo travagliato, ch'ogniun sa quanto sia odiato nell'academie quando Ë aversario delle dottrine comuni, lodato da pochi, approvato da nessuno, perseguitato da tutti.
 \ ELP.\ Da tutti sÏ, ma tali e quali; da pochi sÏ, ma ottimi ed eroi. Aversario de dottrine comuni, non per esser dottrine o per esser comuni, ma perchÈ false. Dall'academie odiato, perchÈ, dov'Ë dissimilitudine, non Ë amore; travagliato, perchÈ la moltitudine Ë contraria a chi si fa fuor di quella; e chi si pone in alto, si fa versaglio a molti. E per descrivervi l'animo suo, quanto al fatto del trattar cose speculative, vi dico che non Ë tanto curioso d'insegnare, quanto d'intendere; e che lui udir‡ meglior nova e prender‡ maggior piacere, quando sentir‡ che vogliate insegnarlo (pur ch'abbia speranza de l'effetto), che se gli diceste che volete essere insegnato da lui; perchÈ il suo desio consiste pi˘ in imparare che in insegnare, e si stima pi˘ atto a quello ch'a questo. Ma, eccolo a punto insieme con Fracastorio.
 \ ALB.\ Siate il molto ben venuto, Filoteo.
 \ FIL.\ E voi il ben trovato.
 \ ALB.\
S'a la foresta fieno e paglia rumino
Col bue, monton, becco, asino e cavallo,
Or, per far meglior vita, senza fallo,
Qua me ne vegno a farmi catecumino.
 \ FRAC.\ Siate il ben venuto.
\ ALB.\ Tanto sin al presente ho fatta stima de le vostre posizioni, che le ho credute indegne di essere udite, non che di risposta.
 \ FIL.\ Similmente giudicavo ne' miei primi anni, quando ero occupato in Aristotele, sino a certo termine. Ora, dopo ch'ho pi˘ visto e considerato e con pi˘ maturo discorso debbo posser far giudizio de le cose, potr‡ essere ch'io abbia desimparato e perso il cervello. Or, perchÈ questa Ë una infirmit‡ la quale nessun meno la sente che l'amalato istesso, io pi˘ tosto mosso da una suspizione, promosso dalla dottrina all'ignoranza, molto son contento d'essere incorso in un medico tale, il qual Ë stimato sufficiente da tutti di liberarmi da tal mania.
 \ ALB.\
Nol puÚ far la natura, io far nol posso,
S'il male Ë penetrato in sin a l'osso.
 \ FRAC.\ Di grazia, signor, toccategli prima il polso e vedete l'urina; perchÈ appresso, se non possiamo effettuar la cura, staremo sul giudizio.
 \ ALB.\ La forma di toccar il polso Ë di veder come potrete risolvere ed estricar da alcuni argomenti, ch'or ora vi farÚ udire, quali necessariamente conchiudeno la impossibilit‡ di pi˘ mondi; tanto manca, che gli mondi sieno infiniti.
 \ FIL.\ Non vi sarÚ poco ubligato quando m'arrete insegnato questo; e quantunque il vostro intento non riesca, vi sarÚ pur debitore per quel, che mi verrete a confirmar nel mio parere. PerchÈ, certo, vi stimo tale che per voi mi potrÚ accorgere di tutta la forza del contrario; e come quello che siete espertissimo nelle ordinarie scienze, facilmente vi potrete avedere del vigor de' fondamenti ed edificii di quelle, per la differenza ch'hanno da nostri principii. Or perchÈ non accada interrozione di raggionamenti, e ciascuno a bel agio possa esplicarsi tutto, piacciavi di apportar tutte quelle raggioni che stimate pi˘ salde e principali e che vi paiono demostrativamente conchiudere.
 \ ALB.\ CossÏ farÚ. Prima, dunque, da quel, che estra questo mondo non s'intende essere loco nÈ tempo, perchÈ se dice un primo cielo e primo corpo, il quale Ë distantissimo da noi e primo mobile; onde abbiamo per consuetudine di chiamar cielo quello che Ë sommo orizonte del mondo, dove sono tutte le cose immobili, fisse e quiete, che son le intelligenze motrici de gli orbi. Ancora, dividendo il mondo in corpo celeste ed elementare, si pone questo terminato e contenuto, quello terminante e continente: ed Ë tal ordine de l'universo che, montando da corpo pi˘ crasso a pi˘ sottile quello che Ë sopra il convesso del fuoco, in cui sono affissi il sole, la luna ed altre stelle, Ë una quinta essenza; a cui conviene e che non vada in infinito, perchÈ sarrebe impossibile di giongere al primo mobile; e che non si repliche l'occorso d'altri elementi, sÏ perchÈ questi verrebono ad essere circonferenziali, sÏ anco perchÈ il corpo incorrottibile e divino verrebe contenuto e compreso da gli corrottibili. Il che Ë inconveniente: perchÈ a quello ch'Ë divino, conviene la raggion di forma ed atto, e per conseguenza di comprendente, figurante, terminante; non modo di terminata, compresa e figurata materia. Appresso, argomento cossÏ con Aristotele: "se fuor di questo cielo Ë corpo alcuno, o sar‡ corpo semplice, o sar‡ corpo composto"; ed in qualsivoglia modo che tu dica, dimando oltre, o vi Ë come in loco naturale, o come in loco accidentale e violento. Mostramo che ivi non Ë corpo semplice; perchÈ non Ë possibile che corpo sferico si cange di loco; perchÈ, come Ë impossibile che muti il centro, cossÏ non Ë possibile che cange il sito: atteso che non puÚ esser se non per violenza estra il proprio sito; e violenza non puÚ essere in lui, tanto attiva- quanto passivamente. Similmente non Ë possibile che fuor del cielo sia corpo semplice mobile di moto retto: o sia grave o sia lieve, non vi potr‡ essere naturalmente, atteso che gli luoghi di questi corpi semplici sono altri dai luoghi, che si dicono fuor del mondo. NÈ potrete dir che vi sia per accidente; perchÈ averrebe, che altri corpi vi sieno per natura. Or, essendo provato, che non sono corpi semplici oltre quei che vegnano alla composizion di questo mondo, che son mobili secondo tre specie di moto locale, Ë consequente che fuor del mondo non sia altro corpo semplice. Se cossÏ Ë, Ë anco impossibile, che vi sia composto alcuno; perchÈ questo di quelli si fa ed in quelli si risolve. CossÏ Ë cosa manifesta che non son molti mondi, perchÈ il cielo Ë unico, perfetto e compito, a cui non Ë, nÈ puÚ essere altro simile. Indi s'inferisce, che fuor di questo corpo non puÚ essere loco nÈ pieno nÈ vacuo, nÈ tempo. Non vi Ë loco; perchÈ, se questo sar‡ pieno, contener‡ corpo o semplice o composto: e noi abbiamo detto che fuor del cielo non v'Ë corpo nÈ semplice nÈ composto. Se sar‡ vacuo, allora, secondo la raggion del vacuo (che si definisce spacio, in cui puÚ esser corpo), vi potr‡ essere; e noi abbiamo mostrato che fuor del cielo non puÚ esser corpo. Non vi Ë tempo; perchÈ il tempo Ë numero di moto; il moto non Ë se non di corpo; perÚ dove non Ë corpo, non Ë moto, non v'Ë numero, nÈ misura di moto; dove non Ë questa, non Ë tempo. Poi abbiam provato, che fuor del mondo non Ë corpo, e per consequenza per noi Ë dimostrato non esservi moto, nÈ tempo. Se cossÏ Ë, non vi Ë temporeo nÈ mobile: e per consequenza, il mondo Ë uno.
 Secondo, principalmente dall'unit‡ del motore s'inferisce l'unit‡ del mondo. » cosa concessa, che il moto circulare Ë veramente uno, uniforme, senza principio e fine. S'Ë uno, Ë uno effetto, il quale non puÚ essere da altro che da una causa. Se, dunque, Ë uno il cielo primo, sotto il quale son tutti gl'inferiori, che conspirano tutti in un ordine, bisogna che sia unico il governante e motore. Questo essendo inmateriale, non Ë moltiplicabile di numero per la materia. Se il motore Ë uno, e da un motore non Ë se non un moto, ed un moto (o sia complesso o incomplesso) non Ë se non in un mobile, o semplice o composto, rimane che l'universo mobile Ë uno. Dunque, non son pi˘ mondi.
 Terzo, principalmente da luoghi de corpi mobili si conchiude ch'il mondo Ë uno. Tre sono le specie di corpi mobili: grave in generale, lieve in generale e neutro; cioË terra ed acqua, aria e fuoco, e cielo. CossÏ gli luoghi de mobili son tre: infimo e mezzo, dove va il corpo gravissimo; supremo massime discosto da quello; e mezzano tra l'infimo e il supremo. Il primo Ë grave, il secondo Ë nÈ grave nÈ lieve, il terzo Ë lieve. Il primo appartiene al centro, il secondo alla circonferenza, il terzo al spacio ch'Ë tra questa e quello. », dunque, un luogo inferiore a cui si muoveno tutti gli gravi, sieno in qualsivoglia mondo; Ë un superiore a cui si referiscono tutti i lievi da qualsivoglia mondo; dunque, Ë un luogo in cui si verse il cielo, di qualunque mondo il sia. Or se Ë un loco, Ë un mondo, non son pi˘ mondi.
 Quarto, dico che sieno pi˘ mezzi ai quali si muovano gli gravi de diversi mondi, sieno pi˘ orizonti a gli quali si muova il lieve; e questi luoghi de diversi mondi non differiscano in specie, ma solamente di numero. Averr‡ allora che il mezzo dal mezzo sar‡ pi˘ distante ch'il mezzo da l'orizonte; ma il mezzo e mezzo convegnono in specie; il mezzo ed orizonte son contrarii. Dunque, sar‡ pi˘ distanza locale tra quei che convegnono in specie che tra gli contrarii. Questo Ë contra la natura di tali oppositi; perchÈ quando si dice che gli contrarii primi son massimamente discosti, questo massime s'intende per distanza locale, la qual deve essere ne gli contrarii sensibili. Vedete, dunque, che sÈguita supponendosi, che sieno pi˘ mondi. Per tanto tale ipotesi non Ë solamente falsa, ma ancora impossibile.
 Quinto, se son pi˘ mondi simili in specie, deveranno essere o equali o pur (chÈ tutto viene ad uno, per quanto appartiene al proposito) proporzionali in quantit‡; se cossÏ Ë, non potranno pi˘ che sei mondi essere contigui a questo: perchÈ, senza penetrazion di corpi, cossÏ non pi˘ che sei sfere possono essere contigue a una, come non pi˘ che sei circoli equali, senza intersezione de linee, possono toccare un altro. Essendo cossÏ, accader‡ che pi˘ orizonti in tanti punti (ne li quali sei mondi esteriori toccano questo nostro mondo o altro) saranno circa un sol mezzo. Ma, essendo che la virt˘ de doi primi contrarii deve essere uguale e da questo modo di ponere ne sÈguite inequalit‡, verrete a far gli elementi superiori pi˘ potenti che gl'inferiori, farrete quelli vittoriosi sopra questi e verrete a dissolvere questa mole..
 Sesto, essendo che gli circoli de mondi non si toccano se non in punto, bisogna necessariamente che rimagna spacio tra il convesso del circolo di una sfera e l'altra; nel qual spacio o vi Ë qualcosa che empia, o niente. Se vi Ë qualche cosa, certo non puÚ essere di natura d'elemento distante dal convesso de la circonferenza, perchÈ, come si vede, cotal spacio Ë triangulare, terminato da tre linee arcuali che son parti della circonferenza di tre mondi; e perÚ il mezzo viene ad esser pi˘ lontano dalle parti pi˘ vicine a gli angoli, e lontanissimo da quelli, come apertissimo si vede. Bisogna, dunque, fingere novi elementi e novo mondo, per empir quel spacio, diversi dalla natura di questi elementi e mondo. Over Ë necessario di ponere il vacuo, il quale supponemo impossibile.
 Settimo, se son pi˘ mondi, o son finiti o son infiniti. Se sono infiniti, dunque si trova l'infinito in atto: il che con molte raggioni Ë stimato impossibile. Se sono finiti, bisogna che sieno in qualche determinato numero: e sopra di questo andaremo investigando perchÈ son tanti, e non son pi˘ nÈ meno; perchÈ non ve n'Ë ancor un altro, che vi fa questo o quell'altro di pi˘; se son pari o impari; perchÈ pi˘ tosto de l'una che de l'altra differenza; o pur perchÈ tutta quella materia che Ë divisa in pi˘ mondi, non s'Ë agglobata in un mondo, essendo che la unit‡ Ë meglior che moltitudine, trovandosi l'altre cose pari; perchÈ la materia Ë divisa in quattro o sei o diece terre, non Ë pi˘ tosto globo grande, perfetto e singulare. Come, dunque, de il possibile ed impossibile si trova il numero finito pi˘ presto che infinito, cossÏ tra il conveniente e disconveniente, Ë pi˘ raggionevole e secondo la natura l'unit‡ che la moltitudine o pluralit‡.
 Settimo, in tutte le cose veggiamo la natura fermarsi in compendio; perchÈ, come non Ë difettuosa in cose necessarie, cossÏ non abonda in cose soverchie. Possendo dunque essa ponere in effetto il tutto per quell'opre che son in questo mondo, non Ë raggione ancor che si voglia fengere che sieno altri.
 Ottavo, se fussero mondi infiniti o pi˘ che uno, massime sarebbono per questo, che Dio puÚ farle o pur da Dio possono dependere. Ma quantunque questo sia verissimo per tanto non sÈguita che sieno: perchÈ, oltre la potenza attiva di Dio, se richiede la potenza passiva de le cose. PerchÈ dalla absoluta potenza divina non dipende quel tanto che puÚ esser fatto nella natura; atteso che non ogni potenza attiva si converte in passiva, ma quella sola la quale ha paziente proporzionato, cioË soggetto tale, che possa ricevere tutto l'atto dell'efficiente. Ed in cotal modo non ha corrispondenza cosa alcuna causata alla prima causa. Per quanto, dunque, appartiene alla natura del mondo, non possono essere pi˘ che uno, benchÈ Dio ne possa far pi˘ che uno.
 Nono, Ë cosa fuor di raggione la pluralit‡ di mondi, perchÈ in quelli non sarrebe bont‡ civile, la quale consiste nella civile conversazione; e non arrebono fatto bene gli dei creatori de diversi mondi di non far che gli cittadini di.quelli avessero reciproco commercio.
 Decimo, con la pluralit‡ di mondi viene a caggionarsi impedimento nel lavoro di ciascun motore o dio; perchÈ essendo necessario che le sfere si toccano in punto, averr‡ che l'uno non si potr‡ muovere contra de l'altro, e sar‡ cosa difficile che il mondo sia governato da gli dei per il moto.
 Undecimo, da uno non puÚ provenire pluralit‡ d'individui se non per tal atto per cui la natura si moltiplica per division della materia; e questo non Ë altro atto che di generazione. Questo dice Aristotele con tutt'i peripatetici. Non si fa moltitudine d'individui sotto una specie, se non per l'atto della generazione. Ma quelli che dicono pi˘ mondi di medesima materia e forma in specie, non dicono che l'uno si converte nell'altro nÈ si genere dell'altro.
 Duodecimo, al perfetto non si fa addizione. Se dunque questo mondo Ë perfetto, certamente non richiede ch'altro se gli aggionga. Il mondo Ë perfetto prima come specie di continuo che non si termina ad altra specie di continuo; perchÈ il punto indivisibile matematicamente corre in linea, che Ë una specie di continuo; la linea in superficie, che Ë la seconda specie di continuo; la superficie in corpo, che Ë la terza specie di continuo. Il corpo non migra o discorre in altra specie di continuo; ma, se Ë parte dell'universo, si termina ad altro corpo; se Ë universo, Ë perfetto e non si termina se non da se medesimo. Dunque, il mondo ed universo Ë uno, se deve essere perfetto. - Queste sono le dodici raggioni, le quali voglio per ora aver prodotte. Se voi mi satisfarrete in queste, voglio tenermi satisfatto in tutte.
 \ FIL.\ Bisogna, Albertin mio, che uno che si propone a defendere una conclusione, prima, se non Ë al tutto pazzo, abbia essaminate le contrarie raggioni; come sciocco sarrebe un soldato che prendesse assunto de difendere una rocca, senza aver considerato le circonstanze e luoghi onde quella puÚ essere assalita. Le raggioni che voi apportate (se pur son raggioni), sono assai communi e repetite pi˘ volte da molti. Alle quali tutte sar‡ efficacissimamente risposto, solo con aver considerato il fondamento di quelle da un canto, e dall'altro il modo della nostra asserzione. L'uno e l'altro vi sar‡ chiaro per l'ordine che terrÚ nel rispondere; il quale consister‡ in breve paroli, perchÈ, se altro bisognar‡ dire ed esplicare, io vi lasciarÚ al pensiero di Elpino, il quale vi replicar‡ quello che ha udito da me.
 \ ALB.\ Fate prima che io mi accorga che ciÚ possa essere con qualche frutto e non senza satisfazione d'un che desidera sapere; chÈ certo non mi rincrescer‡ d'udir prima voi, e poi lui.
 \ FIL.\ A gli uomini savii e giudiciosi, tra' quali vi connumero, basta sol mostrare il loco della considerazione; perchÈ da per essi medesimi poi profondano sul giudicio de gli mezzi per quali si discende all'una e l'altra contradittoria o contraria posizione. Quanto al primo dubio, dunque, diciamo, che tutta quella machina va per terra, posto che non sono quelle distinzioni di orbi e cieli, e che gli astri in questo spacio inmenso etereo si muoveno da principio intrinseco e circa il proprio centro e circa qualch'altro mezzo. Non Ë primo mobile che rapisca realmente tanti corpi circa questo mezzo; ma pi˘ presto questo uno globo causa l'apparenza di cotal rapto. E le raggioni di questo ve le dir‡ Elpino.
 \ ALB.\ Le udirÚ volentiera.
\ FIL.\ Quando udirete e concepirete che quel dire Ë contra natura, e questo Ë secondo ogni raggione, senso e natural verificazione, non direte oltre essere una margine, uno ultimo del corpo e moto dell'universo; e che non Ë che una vana fantasia l'esistimare che sia tal primo mobile, tal cielo supremo e continente, pi˘ tosto che un seno generale, in cui non altrimente subsidano gli altri mondi che questo globo terrestre in questo spacio, dove vien circondato da questo aria, senza che sia inchiodato ed affisso in qualch'altro corpo ed abbia altra base ch'il proprio centro. E se si vedr‡ che questo non si puÚ provare d'altra condizione e natura, per non mostrar altri accidenti da quei che mostrano gli astri circonstanti, non deve esser stimato pi˘ tosto lui in mezzo dell'universo che ciascuno di quelli, e lui pi˘ tosto apparir esser circuito da quelli che quelli da lui; onde al fine, conchiudendosi tale indifferenza di natura, si conchiuda la vanit‡ de gli orbi deferenti, la virt˘ dell'anima motrice e natura interna essagitatrice di questi globi, la indifferenza de l'ampio spacio dell'universo, la irrazionalit‡ della margine e figura esterna di quello.
 \ ALB.\ Cose in vero che non repugnano alla natura, possono aver maggior convenienza; ma son de difficilissima prova e richiedeno grandissimo ingegno per estricarse dal contrario senso e raggioni.
 \ FIL.\ Trovato che sar‡ il capo, facilissimamente si sbrogliar‡ tutto l'intrico. PerchÈ la difficult‡ procede da un modo e da uno inconveniente supposto: e questo Ë la gravit‡ della terra, la immobilit‡ di quella, la posizione del primo mobile con altri sette, otto o nove o pi˘, nelli quali sono piantati, ingravati, inpiastrati, inchiodati, annodati, incollati, sculpiti o depinti gli astri; e non residenti in uno medesimo spacio con questo astro che Ë la terra nominata da noi, la quale udirete non essere di regione, di figura, di natura pi˘ nÈ meno elementare che tutti gli altri, meno mobile da principio intrinseco che ciascuno di quegli altri animanti divini.
 \ ALB.\ Certo, entrato che mi sar‡ nel capo questo pensiero, facilmente succederanno gli altri tutti che voi mi proponete: arrete insieme insieme tolte le radici d'una e piantate quelle d'una altra filosofia.
 \ FIL.\ CossÏ dispreggiarete per raggione oltre prendere quel senso comune, con cui volgarmente si dice un sommo orizonte, altissimo e nobilissimo, confine alle sustanze divine inmobili e motrici di questi finti orbi; ma confessarete almeno essere equalmente credibile, che cossÏ come questa terra Ë un animale mobile e convertibile da principio intrinseco, sieno quelli altri tutti medesimamente, e non mobili secondo il moto e delazione d'un corpo, che non ha tenacit‡ nÈ resistenza alcuna, pi˘ raro e pi˘ sottile che esser possa questo aria in cui spiriamo. Considerarete questo dire consistere in pura fantasia e non potersi demostrare al senso; ed il nostro essere secondo ogni regolato senso e ben fondata raggione. Affirmarete non essere pi˘ verisimile che le sfere imaginate di concava e convessa superficie sieno mosse e seco amenino le stelle, che vero e conforme al nostro intelletto e convenienza naturale che, senza temere di cascare infinito al basso o montare ad alto (atteso che nell'immenso spacio non Ë differenza di alto, basso, destro, sinistro, avanti ed addietro), gli uni circa e verso gli altri facciano gli lor circoli, per la raggione della lor vita e consistenza nel modo che udirete nel suo loco. Vedrete come estra questa imaginata circonferenza di cielo possa essere corpo semplice o composto, mobile di moto retto; perchÈ, come di moto retto si muoveno le parti di questo globo, cossÏ possono muoversi le parti de gli altri e niente meno; perchÈ non Ë fatto e composto d'altro questo che gli altri circa questo e circa gli altri; non appare meno questo aggirarsi circa gli altri che gli altri circa questo.
 \ ALB.\ Ora pi˘ che mai mi accorgo che picciolissimo errore nel principio causa massima differenza e discrime de errore in fine; uno e semplice inconveniente a poco a poco se moltiplica ramificandosi in infiniti altri, come da picciola radice machine grandi e rami innumerabili. Per mia vita, Filoteo, io son molto bramoso che questo che mi proponi, da te mi vegna provato, e da quel che lo stimo degno e verisimile, mi sia aperto come vero.
 \ FIL.\ FarrÚ quanto mi permetter‡ l'occasion del tempo, rimettendo molte cose al vostro giudizio, le quali sin ora non per incapacit‡, ma per inadvertenza vi sono state occolte.
 \ ALB.\ Dite pur per modo d'articolo e di conclusione il tutto, perchÈ so che prima che voi entraste in questo parere, avete possuto molto bene essaminare le forze del contrario; essendo che son certo, che non meno a voi che a me sono aperti gli secreti della filosofia commune. Seguitate.
 \ FIL.\ Non bisogna dunque cercare, se estra il cielo sia loco, vacuo o tempo; perchÈ uno Ë il loco generale, uno il spacio inmenso che chiamar possiamo liberamente vacuo; in cui sono innumerabili ed infiniti globi, come vi Ë questo in cui vivemo e vegetamo noi. Cotal spacio lo diciamo infinito, perchÈ non Ë raggione, convenienza, possibilit‡, senso o natura che debba finirlo: in esso sono infiniti mondi simili a questo, e non differenti in geno da questo; perchÈ non Ë raggione nÈ difetto di facult‡ naturale, dico tanto potenza passiva quanto attiva, per la quale, come in questo spacio circa noi ne sono, medesimamente non ne sieno in tutto l'altro spacio che di natura non Ë differente ed altro da questo.
 \ ALB.\ Se quel ch'avete prima detto, Ë vero (come sin ora non Ë men verisimile che 'l suo contradittorio), questo Ë necessario.
 \ FIL.\ Estra, dunque, l'imaginata circonferenza e convesso del mondo Ë tempo, perchÈ vi Ë la misura e raggione di moto, perchÈ vi sono de simili corpi mobili. E questo sia parte supposto, parte proposto circa quello ch'avete detto come per prima raggione dell'unit‡ del mondo.
 Quanto a quello che secondariamente dicevate, vi dico che veramente Ë un primo e prencipe motore, ma non talmente primo e prencipe che, per certa scala, per il secondo, terzo ed altri da quello si possa discendere, numerando, al mezzano ed ultimo: atteso che tali motori non sono, nÈ possono essere; perchÈ dove Ë numero infinito, ivi non Ë grado nÈ ordine numerale, benchÈ sia in grado ed ordine secondo la raggione e dignit‡ o de diverse specie e geni, o de diverse gradi in medesimo geno e medesima specie. Sono dunque, infiniti motori, cossÏ come sono anime infinite di queste infinite sfere, le quali, perchÈ sono forme ed atti intrinseci, in rispetto de quali tutti Ë un prencipe da cui tutti dipendono, Ë un primo il quale dona la virt˘ della motivit‡ a gli spirti, anime, dei, numi, motori, e dona la mobilit‡ alla materia, al corpo, all'animato, alla natura inferiore, al mobile. Son, dunque, infiniti mobili e motori, li quali tutti se riducono a un principio passivo ed un principio attivo, come ogni numero se reduce all'unit‡; e l'infinito numero e l'unit‡ coincideno, ed il summo agente e potente fare il tutto con il possibile esser fatto il tutto coincideno in uno, come Ë mostrato nel fine del libro Della causa, principio ed uno. In numero dunque e moltitudine Ë infinito mobile ed infinito movente; ma nell'unit‡ e singularit‡ Ë infinito immobile motore, infinito immobile universo; e questo infinito numero e magnitudine e quella infinita unit‡ e semplicit‡ coincideno in uno semplicissimo ed individuo principio, vero, ente. CossÏ non Ë un primo mobile, al quale con certo ordine succeda il secondo, in sino l'ultimo, o pur in infinito; ma tutti gli mobili sono equalmente prossimi e lontani al primo e dal primo ed universal motore. Come, logicamente parlando, tutte le specie hanno equal raggione al medesimo geno, tutti gli individui alla medesima specie; cossÏ da un motore universale infinito, in un spacio infinito, Ë un moto universale infinito da cui dependono infiniti mobili e infiniti motori, de quali ciascuno Ë finito di mole ed efficacia.
 Quanto al terzo argumento, dico che nell'etereo campo non Ë qualche determinato punto, a cui, come al mezzo, si muovano le cose gravi, e da cui, come verso la circonferenza, se discostano le cose lievi; perchÈ nell'universo non Ë mezzo nÈ circonferenza, ma, se vuoi, in tutto Ë mezzo ed in ogni punto si puÚ prendere parte di qualche circonferenza a rispetto di qualche altro mezzo o centro. Or quanto a noi, respettivamente si dice grave quello che dalla circonferenza di questo globo si muove verso il mezzo; lieve quello che secondo il contrario modo verso il contrario sito; e vedremo che niente Ë grave, che medesimo non sia lieve; perchÈ tutte le parti de la terra successivamente si cangiano di sito, luogo e temperamento, mentre per longo corso di secoli non Ë parte centrale che non si faccia circonferenziale, nÈ parte circonferenziale che non si faccia del centro o verso quello. Vedremo che gravit‡ e levit‡ non Ë altro che appulso de le parti de corpi al proprio continente e conservante, ovunque il sia; perÚ non sono differenze situali che tirano a sÈ tali parti, nÈ che le mandano da sÈ, ma Ë il desio di conservarsi, il quale spenge ogni cosa come principio intrinseco, e, se non gli obsta impedimento alcuno, la perduce ove meglio fugga il contrario e s'aggionga al conveniente. CossÏ, dunque, non meno dalla circonferenza della luna ed altri mondi, simili a questo in specie o in geno, verso il mezzo del globo vanno ad unirsi le parti come per forza di gravit‡; e verso la circonferenza se diportano le parti assottigliate come per forza di levit‡. E non Ë perchÈ fuggano la circonferenza o si appiglino alla circonferenza; perchÈ, se questo fusse, quanto pi˘ a quella s'avicinano, pi˘ velocemente e rapidamente vi correrebono; e quanto pi˘ da quella s'allontanano, pi˘ fortemente si aventarebono al contrario sito. Del che il contrario veggiamo, atteso che, se mosse saranno oltre la region terrestre, rimarranno librate ne l'aria e non montaranno in alto nÈ descenderanno al basso sin tanto che o acquistano per apposizion di parti o per inspessazione dal freddo gravit‡ maggiore, per cui dividendo l'aria sottoposto rivegnano al suo continente, over dissolute dal caldo e attenuate, si dispergano in atomi.
 \ ALB.\ O quanto mi seder‡ nell'animo questo, quando pi˘ pianamente m'arrete fatto vedere la indifferenza de gli astri da questo globo terrestre!
\ FIL.\ Questo facilmente vi potr‡ replicare Elpino nel modo con cui l'ha possuto udire da me. E lui vi far‡ pi˘ distintamente udire come grave e lieve non Ë corpo alcuno a rispetto della region dell'universo, ma delle parti a rispetto del suo tutto, proprio continente o conservante. PerchÈ quelli, per desiderio di conservarsi nell'esser presente, si moveno ad ogni differenza locale, si astrengeno insieme, come fanno i mari e gocce, e se disgregano, come fanno tutt'i liquori della faccia del sole o altri fuochi. PerchÈ ogni moto naturale, che Ë da principio instrinseco, non Ë se non per fuggir il disconveniente e contrario e seguitare l'amico e conveniente. PerÚ niente si muove dal suo loco, se non discacciato dal contrario; niente nel suo loco Ë grave nÈ lieve; ma la terra, sullevata all'aria, mentre si forza al suo loco, Ë grave e si sente grave. CossÏ l'acqua, suspesa a l'aria, Ë grave; non Ë grave nel proprio loco. PerÚ a gli sommersi tutta l'acqua non Ë grave, e picciolo vase pieno d'acqua sopra l'aria, fuor della superficie dell'arida, aggrava. Il capo al proprio busto non Ë grave, ma il capo d'un altro sar‡ grave, se ne sar‡ sopraposto; la raggion del che Ë il non essere nel suo loco naturale. Se, dunque, gravit‡ e levit‡ Ë appulso al loco conservante e fuga dal contrario, niente, naturalmente constituito, Ë lieve: e niente ha gravit‡ o levit‡ molto discosto dal proprio conservante, e molto rimosso dal contrario, sin che non senta l'utile dell'uno e la noia dell'altro; ma se, sentendo la noia dell'uno, despera ed Ë perplesso ed irresoluto del contrario, a quello viene ad esser vinto.
 \ ALB.\ Promettete, ed in gran parte ponete in effetto, gran cose.
\ FIL.\ Per non recitar due volte il medesimo, commetto ad Elpino, che vi dica il restante.
\ ALB.\ Mi par intender tutto, perchÈ un dubio eccita l'altro, una verit‡ dimostra l'altra: ed io comincio ad intendere pi˘ che non posso esplicare; e sin ora molte cose avevo per certe, che comincio a tenerle per dubie. Onde mi sento a poco a poco facile a potervi consentire.
 \ FIL.\ Quando m'arrete pienamente inteso, pienamente mi consentirete. Ma, per ora, ritenete questo; o almeno non siate risoluto, come vi mostravate, nel contrario parere, come eravate prima che vi si ponesse in controversia. PerchÈ a poco a poco e per diverse occasioni verremo ad esplicar pienamente tutto che puÚ fare al proposito; il qual depende da pi˘ principii e cause, perchÈ, come un errore s'aggionge a l'altro, cossÏ a una discoperta verit‡ succede l'altra.
 Circa il quarto argumento, diceamo che, quantunque sieno tanti mezzi, quanti sono individui, di globi, di sfere, di mondi, non per questo sÈguita che le parti di ciascuno si referiscano ad altro mezzo che al proprio, nÈ s'allontanino verso altra circonferenza che della propria regione. CossÏ le parti di questa terra non remirano altro centro nÈ vanno ad unirsi ad altro globo che questo, come li umori e parti de gli animali hanno flusso e reflusso nel proprio supposito, e non hanno appartenenza ad altro distinto di numero.
 Quanto a quello che apportate per inconveniente, cioË che il mezzo che conviene in specie con l'altro mezzo, verr‡ ad essere pi˘ distante da quello che il mezzo e la circonferenza, che sono contrarii naturalmente, e perÚ sono e denno essere massime discosti; vi rispondo, prima, che li contrarii non denno essere massime discosti, ma tanto che l'uno possa aver azione nell'altro e possa esser paziente dall'altro: come veggiamo esser disposto il sole a noi prossimo in rispetto de le sue terre che son circa quello; atteso che l'ordine della natura apporta questo, che l'uno contrario sussista, viva e si nutrisca per l'altro, mentre l'uno viene affetto, alterato, vinto e si converte nell'altro.
 Oltre, poco fa abbiamo discorso con Elpino della disposizione di quattro elementi, li quali tutti concorreno alla composizione di ciascun globo, come parti de quali l'una Ë insita dentro l'altra e l'una Ë mista con l'altra; e non sono distinti e diversi, come contenuto e continente, perchÈ, ovunque Ë l'arida, vi Ë l'acqua, l'aria ed il fuoco, o aperto o latente; e che la distinzione, che facciamo di globi, de quali altri sono fuochi, come il sole, altri sono acqui, come la luna e terra, procede non da questo, che costano di semplice elemento, ma da quel, che quello.predomina in tale composizione.
 Oltre Ë falsissimo, che li contrarii massime sieno discosti; perchÈ in tutte le cose questi vegnono naturalmente congionti ed uniti; e l'universo, tanto secondo le parti principali, quanto secondo le altre conseguenti, non consiste se non per tal congionzione ed unione; atteso che non Ë parte di terra che non abbia in sÈ unitissima l'acqua, senza la quale non ha densit‡, unione d'atomi e solidit‡. Oltre, qual corpo terrestre Ë tanto spesso che non abbia gli suoi insensibili pori, li quali, se non vi fussero, non sarrebono tai corpi divisibili e penetrabili dal foco o dal calor di quello, che pur Ë cosa sensibile che si parte da tal sustanza? Ove, dunque, Ë parte di questo tuo corpo freddo e secco, che non abbia gionto di quest'altro tuo corpo umido e caldo? Non Ë dunque naturale, ma logica questa distinzione d'elementi; e se il sole Ë nella sua regione lontano dalla regione della terra, non Ë perÚ da lui pi˘ lontano l'aria, l'arida ed acqua, che da questo corpo: perchÈ cossÏ quello Ë corpo composto, come questo, benchÈ di quattro detti elementi altro predomine in quello, altro in questo. Oltre, se vogliamo che la natura sia conforme a questa logica che vuole la massima distanza deverse a gli contrarii, bisognar‡ che tra il tuo foco, che Ë lieve, e la terra, che Ë grave, sia interposto il tuo cielo, il quale non Ë grave nÈ lieve. O, se pur ti vuoi strengere, con dir che intendi questo ordine nelli chiamati elementi, sar‡ de bisogno pure che altrimente le venghi ad ordinare. Voglio dire che tocca a l'acqua di essere nel centro e luogo del gravissimo, se il foco Ë nella circonferenza e luogo del levissimo nella regione elementare; perchÈ l'acqua, che Ë fredda ed umida, contraria al foco secondo ambedue le qualitadi, deve essere massime lontana dal freddo e secco elemento; e l'aria, che dite caldo ed umido, devrebbe essere lontanissimo dalla fredda e secca terra. Vedete, dunque, quanto Ë inconstante questa peripatetica proposizione, o la essaminate secondo la verit‡ della natura, o la misurate secondo gli proprii principii e fondamenti?
 \ ALB.\ Lo vedo, e molto apertamente.
 \ FIL.\ Vedete ancora, che non Ë contra raggione la nostra filosofia, che reduce ad un principio e referisce ad un fine e fa concidere insieme gli contrarii, di sorte che Ë un soggetto primo dell'uno e l'altro; dalla qual coincidenza stimiamo ch'al fine Ë divinamente detto e considerato che li contrarii son ne gli contrarii, onde non sia difficile di pervenire a tanto che si sappia come ogni cosa Ë di ogni cosa: quel che non potÈ capire Aristotele ed altri sofisti.
\ ALB.\ Volentieri vi ascolto. So che tante cose e sÏ diverse conclusioni non si possono insieme e con una occasione provare; ma da quel, che mi scuoprite inconvenienti le cose che io stimava necessarie, in tutte l'altre, che con medesima e simil raggione stimo necessarie, dovegno suspetto. PerÚ con silenzio ed attenzion mi apparecchio ad ascoltar i fondamenti, principii e discorsi vostri.
 \ ELP.\ Vedrete che non Ë secol d'oro quello ch'ha apportato.Aristotele alla filosofia. Per ora, espediscansi gli dubii da voi proposti.
\ ALB.\ Io non sono molto curioso circa quelli altri, perchÈ bramo d'intendere quella dottrina di principii da quali questi ed altri dubii iuxta la filosofia vostra si risolveno.
 \ FIL.\ Di quelli ne raggionaremo poi. Quanto al quinto argomento, dovete avvertire che, se noi imaginiamo gli molti ed infiniti mondi, secondo quella raggione di composizione che solete voi imaginare, quasi che - oltre un composto di quattro elementi, secondo l'ordine volgarmente riferito; ed otto, nove o diece altri cieli, fatti d'un'altra materia e di diversa natura, che le contegnano, e con rapido moto circulare se gli raggireno intorno; ed oltre cotal mondo cossÏ ordinato e sferico - ne intendiamo altri ed altri similmente sferici e parimente mobili; allora noi deremmo donar raggione e fengere in qual modo l'uno verrebe continuato o contiguo all'altro; allora andremmo fantasticando in quanti punti circonferenziali possa esser tocco dalla circonferenza di circonstanti mondi; allora vedreste che, quantunque fussero pi˘ orizonti circa un mondo, non sarebono perÚ d'un mondo, ma arrebe quella relazione quest'uno a questo mezzo, ch'ha ciascuno al suo; perchÈ l‡ hanno la influenza, dove e circa dove si raggirano e versano. Come, se pi˘ animali fussero ristretti insieme e contigui l'uno a l'altro, non per questo seguitarebe che gli membri de l'uno potessero appartenere a gli membri dell'altro, di sorte che ad uno ed a ciascun d'essi potessero appartener pi˘ capi o busti. Ma noi, per la grazia de dei, siamo liberi da questo impaccio di mendicare tale iscusazione; perchÈ, il loco di tanti cieli e di tanti mobili rapidi e renitenti, retti ed obliqui, orientali ed occidentali, su d'asse del mondo ed asse del zodiaco, in tanta e quanta, in molta e poca declinazione, abbiamo un sol cielo, un sol spacio, per il quale e questo astro in cui siamo, e tutti gli altri fanno gli proprii giri e discorsi. Questi sono gl'infiniti mondi, cioË gli astri innumerabili; quello Ë l'infinito spacio, cioË il cielo continente e pervagato da quelli. Tolta Ë la fantasia della general conversion di tutti circa questo mezzo da quel, che conoscemo aperto la conversion di questo che, versandosi circa il proprio centro, s'espedisce alla vista de lumi circonstanti in ore vinti e quattro. Onde viene a fatto tolta quella continenza de gli orbi deferenti gli lor astri affissi circa la nostra regione; ma rimane attribuito a ciascuno sol quel proprio moto, che chiamiamo epiciclico, con le sue differenze da gli altri mobili astri; mentre non da altro motore che dalla propria anima essagitati, cossÏ come questo circa il proprio centro e circa l'elemento del fuoco, a lunghi secoli se non eternamente, discorreno.
Ecco, dunque, quali son gli mondi, e quale Ë il cielo. Il cielo Ë quale lo veggiamo circa questo globo, il quale non meno che gli altri Ë astro luminoso ed eccellente. Gli mondi son quali con lucida e risplendente faccia ne si mostrano distinti, ed a certi intervalli seposti gli uni da gli altri; dove in nessuna parte l'uno Ë pi˘ vicino a l'altro che esser possa la luna a questa terra, queste terre a questo sole: a fin che l'un contrario non destrugga ma alimente l'altro, ed un simile non impedisca ma doni spacio a l'altro. CossÏ, a raggione a raggione, a misura a misura, a tempi a tempi, questo freddissimo globo, or da questo or da quel verso, ora con questa ora con quella faccia si scalda al sole; e con certa vicissitudine or cede, or si fa cedere alla vicina terra, che chiamiamo luna, facendosi or l'una or l'altra o pi˘ lontana dal sole, o pi˘ vicina a quello: per il che antictona terra Ë chiamata dal Timeo ed altri pitagorici. Or questi sono gli mondi abitati e colti tutti da gli animali suoi, oltre che essi son gli principalissimi e pi˘ divini animali dell'universo; e ciascun d'essi non Ë meno composto di quattro elementi che questo in cui ne ritroviamo; benchÈ in altri predomine una qualit‡ attiva, in altri altra; onde altri son sensibili per l'acqui, altri son sensibili per il foco. Oltre gli quai quattro elementi che vegnono in composizion di questi, Ë una eterea regione, come abbiam detto, immensa, nella qual si muove, vive e vegeta il tutto. Questo Ë l'etere che contiene e penetra ogni cosa; il quale, in quanto che si trova dentro la composizione (in quanto, dico, si fa parte del composto), Ë comunmente nomato aria, quale Ë questo vaporoso circa l'acqui ed entro il terrestre continente, rinchiuso tra gli altissimi monti, capace di spesse nubi e tempestosi Austri ed Aquiloni. In quanto poi che Ë puro, e non si fa parte di composto, ma luogo e continente per cui quello si muove e discorre, si noma propriamente etere, che dal corso prende denominazione. Questo benchÈ in sustanza sia medesimo con quello che viene essagitato entro le viscere de la terra, porta nulla di meno altra appellazione; come oltre, si chiama aria quello circostante a noi; ma, come in certo modo fia parte di noi o pur concorrente nella nostra composizione, ritrovato nel pulmone, nelle arterie ed altre cavitadi e pori, si chiama spirto. Il medesimo circa il freddo corpo si fa concreto in vapore, e circa il caldissimo astro viene attenuato, come in fiamma; la qual non Ë sensibile, se non gionta a corpo spesso, che vegna acceso dall'ardor intenso di quella. Di sorte che l'etere, quanto a sÈ e propria natura, non conosce determinata qualit‡, ma tutte porgiute da vicini corpi riceve, e le medesime col suo moto alla lunghezza dell'orizonte dell'efficacia di tai principii attivi transporta. Or eccovi mostrato quali son gli mondi e quale Ë il cielo; onde non solo potrai essere risoluto quanto al presente dubio, ma e quanto ad altri innumerabili; ed aver perÚ principio a molte vere fisiche conclusioni. E se sin ora parr‡ qualche proposizione supposta e non provata, quella per il presente lascio alla vostra discrezione; la quale, se Ë senza perturbazione, prima che vegna a discuoprirla verissima, la stimar‡ molto pi˘ probabile che la contraria.
 \ ALB.\ Dimmi, Teofilo, ch'io ti ascolto.
\ FIL.\ CossÏ abbiamo risoluto ancora il sesto argumento, il quale, per il contatto di mondi in punto, dimanda che cosa ritrovarsi possa in que' spacii triangulari, che non sia di natura di cielo nÈ di elementi. PerchÈ noi abbiamo un cielo, nel quale hanno gli lor spacii, regioni e distanze competenti gli mondi; e che si diffonde per tutto, penetra il tutto ed Ë continente, contiguo e continuo al tutto, e che non lascia vacuo alcuno; eccetto se quello medesimo, come in sito e luogo in cui tutto si muove, e spacio in cui tutto discorre, ti piacesse chiamar vacuo, come molti chiamorno; o pur primo suggetto, che s'intenda in esso vacuo, per non gli far aver in parte alcuna loco, se ti piacesse privativa- e logicamente porlo come cosa distinta per raggione, e non per natura e sussistenza, da lo ente e corpo. Di sorte che niente se intende essere che non sia in loco o finito o infinito, o corporea- o incorporeamente, o secondo tutto o secondo le parti; il qual loco infine non sia altro che spacio; il qual spacio non sia altro che vacuo, il quale, se vogliamo intendere come una cosa persistente, diciamo essere l'etereo campo che contiene gli mondi; se vogliamo concipere come cosa consistente, diciamo essere il spacio in cui Ë l'etereo campo e mondi, e che non si puÚ intendere essere in altro. Ecco come non abbiamo necessit‡ di fengere nuovi elementi e mondi al contrario di coloro che per levissima occasione cominciorno a nominare orbi deferenti, materie divine, parti pi˘ rare e dense di natura celeste, quinte essenze ed altre fantasie e nomi privi d'ogni suggetto e veritade.
 Al settimo argomento diciamo uno essere l'universo infinito, come un continuo e composto di eteree regioni e mondi; infiniti essere gli mondi, che in diverse regioni di quello per medesima raggione si denno intendere ed essere che questo in cui abitiamo noi, questo spacio e regione intende ed Ë: come ne gli prossimi giorni ho raggionato con Elpino, approvando e confirmando quello che disse Democrito, Epicuro ed altri molti, che con gli occhi pi˘ aperti han contemplata la natura, e non si sono presentati sordi alle importune voci di quella.
Desine quapropter, novitate exterritus ipsa,
Expuere ex animo rationem: sed magis acri
Iudicio perpende, et si tibi vera videtur,
Dede manus; aut si falsa est, accingere contra.
Quaerit enim rationem animus, cum summa loci sit
Infinita foris haec extra moenia mundi;
Quid sit ibi porro, quo prospicere usque velit mens,
Atque animi tractus liber quo pervolet ipse.
Principio nobis in cunctas undique partes,
Et latere ex utroque, infra supraque per omne,
Nulla est finis, uti docui, res ipsaque per se
Vociferatur, et elucet natura profundi.
 Crida contro l'ottavo argumento, che vuole la natura fermarsi in un compendio; perchÈ, benchÈ esperimentiamo in ciascuno ne' mondi grandi e piccioli, non si vede perÚ in tutti; perchÈ l'occhio del nostro senso, senza veder fine, Ë vinto dal spacio inmenso che si presenta; e viene confuso e superato dal numero de le stelle che sempre oltre ed oltre si va moltiplicando; di sorte che lascia indeterminato il senso e costrenge la raggione di sempre giongere spacio a spacio, regione a regione, mondo a mondo.
Nullo iam pacto verisimile esse putandumst,
Undique cum vorsum spacium vacet infinitum,
Seminaque innumero numero, summaque profunda
Multimodis volitent aeterno percita motu,
Hunc unum terrarum orbem, caelumque creatum.
Quare etiam atque etiam tales fateare necesse est,
Esse alios alibi congressus materiei:
Qualis hic est avido complexu quem tenet aether.
 Mormora contro il nono argumento, che suppone e non prova che alla potenza infinita attiva non risponda infinita potenza passiva e non possa esser soggetto infinita materia e farsi campo spacio infinito; e per consequenza non possa proporzionarsi l'atto e l'azione a l'agente, e l'agente possa comunicar tutto l'atto, senza che esser possa tutto l'atto comunicato (che non puÚ imaginarsi pi˘ aperta contradizione di questa). » dunque assai ben detto:
Praeterea cum materies est multa parata,
Cum locus est praesto, nec res nec causa moratur
Ulla, geri debent nimirum et confieri res.
Nunc ex seminibus si tanta est copia quantam
Enumerare aetas animantum non queat omnis,
Visque eadem et natura manet, quae semina rerum
Coniicere in loca quaeque queat, simili ratione
Atque huc sunt coniecta: necesse est confiteare
Esse alios aliis terrarum in partibus orbes,
Et varias hominum genteis, et secla ferarum.
 Diciamo a l'altro argumento, che non bisogna questo buono, civile e tal conmercio de diversi mondi, pi˘ che tutti gli uomini sieno un uomo, tutti gli animali sieno un animale. Lascio che per esperienza veggiamo essere per il meglio de gli animanti di questo mondo, che la natura per mari e monti abbia distinte le generazioni; a le quali essendo per umano artificio accaduto il commercio, non gli Ë per tanto aggionta cosa di buono pi˘ tosto che tolta, atteso che per la communicazione pi˘ tosto si radoppiano i vizii che prender possano aumento le virtudi. PerÚ ben lamenta il Tragico:
Bene dissepti foedera mundi
Traxit in unum Thessala pinus
Iussitque pati verbera pontum,
Partemque metus fieri nostri
Mare sepostum.
 Al decimo si risponde come al quinto; perchÈ cossÏ ciascuno de mondi nell'etereo campo ottiene il suo spacio, che l'uno non si tocca o urta con l'altro; ma discorreno e son situati con distanza tale per cui l'un contrario non si destrugga, ma si fomente per l'altro.
 All'undecimo, che vuole la natura moltiplicata per decisione e division della materia non ponersi in tale atto se non per via di generazione, mentre l'uno individuo come parente produce l'altro come figlio; diciamo che questo non Ë universalmente vero, perchÈ da una massa per opra del sole efficiente si producono molti e diversi vasi di varie forme.e figure innumerabili. Lascio che, se fia l'interito e rinovazion di qualche mondo, la produzione de gli animali, tanto perfetti quanto imperfetti, senza atto di generazione nel principio viene effettuata dalla forza e virt˘ della natura.
 Al duodecimo ed ultimo, che da quel, che questo o un altro mondo Ë perfetto, vuol che non si richiedano altri mondi, dico che certo non si richiedeno per la perfezione e sussistenza di quel mondo; ma per la propria sussistenza e perfezion dell'universo Ë necessario che sieno infiniti. Dalla perfezion dunque di questo o quelli non sÈguita, che quelli o questo sieno manco perfetti: perchÈ cossÏ questo come quelli, e quelli come questo, constano de le sue parti, e sono, per gli suoi membri, intieri.
 \ ALB.\ Non sar‡, o Filoteo, voce di plebe, indignazion di volgari, murmurazion di sciocchi, dispreggio di tai satrapi, stoltizia d'insensati, sciocchezza di scÏoli, informazion di mentitori, querele di maligni e detrazion d'invidiosi, che mi defraudino la tua nobil vista e mi ritardino dalla tua divina conversazione. Persevera, mio Filoteo, persevera; non dismetter l'animo e non ti far addietro per quel, che con molte machine ed artificii il grande e grave senato della stolta ignoranza minaccia e tenta distruggere la tua divina impresa ed alto lavoro. Ed assicurati ch'al fine tutti vedranno quel ch'io veggo; e conosceranno che cossÏ ad ognuno Ë facile di lodarti, come a tutti Ë difficile l'insegnarti. Tutti, se non sono perversi a fatto, cossÏ da buona conscienza riportaranno favorevole sentenza di te, come dal domestico magistero dell'animo ciascuno al fine viene instrutto; perchÈ gli beni de la mente non altronde che dall'istessa mente nostra riportiamo. E perchÈ ne gli l'animi di tutti Ë una certa natural santit‡ che, assisa nell'alto tribunal de l'intelletto, essercita il giudicio del bene e male, de la luce e tenebre, avverr‡ che da le proprie cogitazioni di ciascuno sieno in tua causa suscitati fidelissimi ed intieri testimoni e defensori. Talmente, se non te si faranno amici, ma vorranno neghittosamente in defensione de la turbida ignoranza ed approvati sofisti perseverar ostinati adversarii tuoi, sentiranno in se stessi il boia e manigoldo tuo vendicatore; che, quanto pi˘ l'occoltaranno entro il profondo pensiero, tanto pi˘ le tormente. CossÏ il verme infernale, tolto da la rigida chioma de le Eumenidi, veggendo casso il proprio dissegno contra di te, sdegnoso si converter‡ alla mano o al petto del suo iniquo attore e gli dar‡ tal morte, qual puÚ chi sparge il stigio veleno, ove di tal angue gli aguzzati denti han morso.
 SÈguita a farne conoscere che cosa sia veramente il cielo, che sieno veramente gli pianeti ed astri tutti; come sono distinti gli uni da gli altri gl'infiniti mondi; come non Ë impossibile, ma necessario, un infinito spacio; come convegna tal infinito effetto all'infinita causa; qual sia la vera sustanza, materia, atto ed efficiente del tutto; qualmente de medesimi principii ed elementi ogni cosa sensibile e composta vien formata. Convinci la cognizion dell'universo infinito. Straccia le superficie concave e convesse, che terminano entro e fuori tanti elementi e cieli. Fanne ridicoli gli orbi deferenti e stelle fisse. Rompi e gitta per terra col bombo e turbine de vivaci raggioni queste stimate dal cieco volgo le adamantine muraglia di primo mobile ed ultimo convesso. Struggasi l'esser unico e propriamente centro a questa terra. Togli via di quella quinta essenza l'ignobil fede. Donane la scienza di pare composizione di questo astro nostro e mondo con quella di quanti altri astri e mondi possiamo vedere. Pasca e ripasca parimente con le sue successioni ed ordini ciascuno de gl'infiniti grandi e spaciosi mondi altri infiniti minori. Cassa gli estrinseci motori insieme con le margini di questi cieli. Aprine la porta per la qual veggiamo l'indifferenza di questo astro da gli altri. Mostra la consistenza de gli altri mondi nell'etere, tal quale Ë di questo. Fa' chiaro il moto di tutti provenir dall'anima interiore, a fine che con il lume di tal contemplazione con pi˘ sicuri passi procediamo alla cognizion della natura.
\ FIL.\ Che vuol dire, o Elpino, che il dottor Burchio nÈ sÏ tosto, nÈ mai ha possuto consentirne?
 \ ELP.\ » proprio di non addormentato ingegno da poco vedere ed udire posser considerare e comprender molto.
 \ ALB.\ BenchÈ sin ora non mi sia dato di veder tutto il corpo del lucido pianeta, posso pur scorgere pe' raggi che diffonde per gli stretti forami de chiuse fenestre dell'intelletto mio, che questo non Ë splendor d'artificiosa e sofistica lucerna, non di luna o di altra stella minore. PerÚ a maggior apprension per l'avenire m'apparecchio.
\ FIL.\ Gratissima sar‡ la vostra familiarit‡.
 \ ELP.\ Or  andiamo a cena.